I coccodrilli sono degli animali meravigliosi. Cattivi. Come gli amici che conosci bene, come la tua ex, come le unghie colorate laccate col gel o i calzini corti bianchi di cotone coi sandali. La felicità sta spesso e volentieri nel non essere semplici, nel non farsi catalogare, nello sbagliare continuamente cercando di riscoprirsi originali, unici, stupendo sempre se stessi e cercando di non creare mai dei capolavori ma di essere dei capolavori. Nella vita non si possono fare sempre delle cose da dieci. Si fanno anche delle cose da sei, cinque, quattro, tre, due, uno e poi stop. I coccodrilli non piangono ma tutti conoscono le lacrime di coccodrillo, e se non esiste nessuna giustificazione affinché sia lecito versare del latte prezioso in un’epoca povera come la nostra, c’è chi prova ancora compassione per certi tipi di animali come esiste chi sadicamente li caccia. Ho conosciuto un sacco di coccodrilli e di cacciatori di coccodrilli, le paludi le ho frequentante abbastanza; lì piangevano tutti, coccodrilli e cacciatori ed era bellissimo vederli abbracciati assieme. Strana sorte è capitata alle gocce che si dice stillerebbero dagli occhi di questo giurassico animale quando della sua pena si è impossessata la semantica della lingua italiana; perché coccodrilli sono anche quegli epitaffi giornalistici di personaggi famosi, o di rilievo culturale nazionale e sempre più spesso nazional popolare, chiusi in un cassetto e pronti ad essere pubblicati dopo una morte improvvisa. In fin dei conti bisognerebbe sempre mettere in conto che, per tutti, i vermi sono dietro l’angolo. Chi scrive coccodrilli ha l’opportunità di ricordare una persona da viva considerandola già morta, quindi scrive del suo spirito, della sua essenza e di quello che è stata, è e sarà per sempre. Un assassinio concordato e moralmente legalizzato, quando la scrittura ha licenza di uccidere, d’altronde non si dice sempre che la penna ferisce più della spada? In questa mia nuova rubrica seguendo le orme di Edgar Lee Masters nel suo “Antologia di Spoon River” cercherò di scrivere i miei epitaffi, i miei coccodrilli, cercando di celebrare quello che già da un po’ è per me ormai morto nella società reale, anzi reality. Non scriverò di persone che furono ma di ciò che le persone hanno perso, o meglio, che hanno voluto perdere, dimenticare, ignorare, uccidere con l’indifferenza e la superficialità donando al mondo la nuova democrazia del tutto che in realtà non è niente. I miei coccodrilli avranno denti affilati, pupille verticali che focalizzino al meglio quello che stanno osservando; avranno una corazza dura per resistere a qualsiasi tipo di freccia o proiettile, zampe palmate per affrontare le grandi paludi fangose della mediocrità ed artigli possenti per scavare buche dove depositare nuovi concetti. Non saranno lacrime di coccodrillo, non ci sarà latte versato o rimpianti ma solo ricordi, ricordi di ciò che potrebbe essere ritrovato e che forse non è del tutto morto. Meglio allora portarsi avanti e cominciare ad aprire il proprio cassetto ante mortem per conservare pensieri in parole che determinano il senso del tempo, per farsi trovare pronti in procinto di estreme e repentine dipartite in questo fiume impetuoso e scosceso che nessuno ama navigare contro corrente. Saranno dei coccodrilli in cima alla catena alimentare, bestie che si sfamano di tutto quello che li circonda e che allo stesso tempo sono parte della natura e sanno come rispettarla, prenderanno solo il giusto che serve regalandomi per pochi attimi la possibilità di sentirmi vivo. Ancora una volta il mondo sta cambiando come fa da migliaia di anni ma è sempre giusto cambiare? Il senso della vita sta anche in tutte quelle piccole cose che si ripetono ogni giorno, che non cambiano, che sono delle sicurezze e che aspettano solo il domani. Inutile accartocciarsi su sé stessi e cercare per forza nuove soluzioni; molto spesso la soluzione migliore è proprio quella che già conosciamo e che non è ovvietà, ma certezza e consapevolezza, saggezza. Coccodrilli come celebrazioni, per un nuovo confronto, per un nuovo affronto, per il gusto del raccontare, per sentirmi nuovamente un animale, per il potere di Grayskull, per l’amore per la scrittura, per digerire meglio il ragù della domenica, praticamente l’inizio della fine.
Riccardo Ceres