L’INDIGNATO

S’odono squilli di trombe e rulli di tamburo. Entra in scena l’indignato.
Egli ha il passo misurato dell’indagatore. L’occhio è severo e lo sguardo è accigliato. La bocca invece è fissa in un ghigno affettato.
Il suo esistere è un esistere contro: contro tutto e tutti e contro quei sottili fili con i quali mani invisibili, a parer suo, reggono le sorti dell’umanità. Egli è un bastian contrario per definizione, al punto che, se fosse privato dell’oggetto della sua indignazione, si chiederebbe: Io chi sono?
Costui ha un modo spiccio di interpretare il mondo. Sui banchi di scuola, forse, orecchiò qualcosa sul filosofo dalle spalle larghe; qualcuno gli raccontò la filastrocca secondo la quale dietro questo mondo c’è un altro mondo, fatto di idee fluttuanti, ed egli si convinse davvero che la realtà, la nostra realtà, fosse brutta e cattiva e che toccasse pescare nell’iperuranio le idee con le quali aggiustarla.
Messo in piedi questo bel sistema, se ne va in giro spaccando tutto in due parti, classificando le cose a seconda che corrispondano all’ “ideale” tanto anelato o al “reale” tanto deprecato. Il suo occhio non è in grado di cogliere le sfumature. Tutto ciò che ha contorni indefiniti viene inghiottito sbrigativamente nel suo mondo a due facce: di qua o di là.
L’indignato è ciarliero. La sua narrazione oscilla tra la pedagogia e il catastrofismo. Di lui Arturo Scioppanauro direbbe che secondo il metodo omeopatico, un minimo insignificante di pensiero viene diluito in un profluvio di parole […] e si continua così tranquillissimi a cianciare di pagina in pagina, con una fiducia illimitata nella pazienza […] del lettore”.
L’indignato nel suo sproloquio tocca i temi più disparati: accenna ai mezzi di informazione e al loro decadimento; con un balzo passa all’impoverimento del linguaggio e all’annichilimento cerebrale propiziato dalla rete; di traverso, ci infila la “peggio gioventù” e, per concludere, si lamenta di quanto noiose siano le persone, di quanto stantia sia la conversazione, di quanto difficile sia trattare temi edificanti.

– Ai giorni nostri soffia un vento da fine del mondo! – esclama.

Ma che concezione della storia ha costui? Davvero è convinto che essa debba sempre evolversi fino al suo culmine per poi spegnersi del tutto e non sia, piuttosto, un mare che avanza per poi indietreggiare e ancora avanzare in eterna risacca?
Egli è sempre ostinatamente serio e sempre ostinatamente spinge il suo monologo su cose serie. Mai uno slancio vitale, mai un sorriso, mai un cedimento a cose di poco conto.
Come si fa a spiegare a costui l’immenso piacere del fischiettare un motivetto sotto la doccia? Come fargli comprendere la gioia delle divagazioni strampalate di una combriccola di perdigiorno? Perché in sua presenza non ci si può porre la più metafisica delle domande: pasta e patate, con o senza provola?

  • Sì, quel tale si è dato al birdwatching! – Perché guardarlo di sbieco?
  • Quell’altro colleziona reggicalze! – Perché deriderlo?

In campo morale però egli svolge il suo compito con rigore.
Ha un fiuto nello scovare il peccato ovunque esso si annidi e, una volta scoperto, il suo Tribunale è spietato. Gioisce nel punire, ignorando le mille contraddizioni dell’animo del peccatore, la fragilità del suo cuore, la sofferenza di una umanità prostrata dal senso di colpa. Ha eretto idealmente una statua arcigna con le sue sembianze, ai piedi della quale sacrifica ogni giorno il suo io più autentico. Egli ha finito col tempo per diventare inconsapevolmente quell’opprimente statua. Tuttavia non si è accorto di quella piccola crepa sulla superficie che pare terminare in un forellino. Accostiamoci e scrutiamo dentro…

C’è qualcuno?

Allesio

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