CAREGIVER. DRAMMA SILENTE

Realtà parallele”. È questa un’espressione che spesso si usa nel gergo comune dei mezzi d’informazione e dei media in generale a proposito di più o meno vasti gruppi di potere, lobbies o ambienti massonici che agiscono all’ombra dei poteri precostituiti ed apparentemente dominanti in un settore o un altro della collettività globalmente intesa. Molto meno si parla invece di ben altre entità o mondi paralleli, forse perché non fanno audience o forse per non turbare la rassicurante e forzata (essere o dover essere recita il successo musicale italiano di primavera) serenità collettiva. Il riferimento è al grande, drammatico e dolorosissimo magma in cui si fondono, come differenti aspetti o declinazioni di un’unica entità, i gravi e totali invalidi civili, in particolar modo i disabili affetti dall’Alzheimer (il Male del nuovo secolo) e dalle altre malattie neurodegenerative e coloro che, in maniera assorbente e totalizzante, se ne prendono cura. Un vasto corpo sociale dedito alla cura a tutto tondo, in modo volontario e gratuito, nonché costante e continuativo, di un familiare disabile, per 7 giorni alla settimana. In sostanza, un’attività totalizzante, incompatibile con il lavoro professionale, con un sufficiente riposo, con la possibilità di curarsi in caso di malanno o malattia, con una vita di relazione che travalichi le mura domestiche. Il costo sociale di questo morbo è insomma elevatissimo e viene quasi sempre pagato dalle famiglie dei malati, lasciate sole fin dalle prime fasi della malattia e costrette spesso ad un isolamento forzato sconosciuto in altri Paesi, nei quali viene superato da strutture apposite e da visite a domicilio e soprattutto, da coinvolgimenti dei pazienti tendenti a preservare, se non a migliorare, il loro stato cognitivo. Una situazione gravissima, tanto da spingere alcuni addirittura ad usare termini fortissimi quali “condizione di arresti domiciliari”. Ma il vulnus colpisce interi nuclei familiari, condotti ad una realtà di sostanziale solitudine. Dopo la diagnosi, in pratica, “si chiude la porta di casa a chiave” per badare al proprio caro che si è ammalato. L’attività svolta dai caregiver familiari, pur così delicata, è tuttavia sprovvista delle fondamentali tutele, in primis sotto il profilo lavorativo, reddituale, assistenziale e previdenziale. Una sorta di volontariato atipico. Atipico perché senza costi e soprattutto, senza sostegni. La scelta di fornire un supporto al progetto di vita della persona con disabilità non autosufficiente non può tuttavia causare l’annientamento della vita del familiare relegandolo a nient’altro che ad una funzione  assistenziale. C’è, infatti, una assoluta alterità sostanziale: si tratta cioè di due soggetti distinti, entrambi titolari di diritti umani (tra cui in primis la libertà di disporre di sé, libertà spesso condizionata in modo pressoché assoluto).

Le prestazioni assistenziali del caregiver familiare necessiterebbero quindi di un riconoscimento giuridico ed economico al fine di attuare una pari opportunità in materia di occupazione e lavoro, accessibilità universale a tutti i servizi, pensione. La violazione sistematica e prolungata nel tempo dei diritti umani dei familiari difatti ha severe conseguenze sulla vita e la salute di queste persone, cagionando effetti spesso devastanti, tra cui sovente forti patologie depressive. Di tutto ciò, uno Stato sociale serio e degno di chiamarsi tale, sarebbe chiamato a rispondere, alla stregua di un padre che cerchi in tutti i modi di salvare dal baratro personale e sociale i suoi figli. Ma purtroppo al suo posto c’è una repubblica delle banane, un soggetto onnivoro che in quel baratro i suoi figli al contrario li spinge. Al suo posto, c’è Equitalia.

Vittorio Pisanti
vittopisanti@gmail.com

 

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