Caserta è una di quelle città che detesti appena diventi adolescente. Scopri subito che è troppo piccola e te ne accorgi perché a percorrerla tutta in scooter ti bastano neanche venti minuti: ti sposti lungo via Roma, sali per via Unità d’Italia, per viale Beneduce e poi ti ficchi nelle altre decine di strade che l’attraversano perpendicolarmente. E a quel punto, la città bene o male è finita. Della mia adolescenza casertana ricordo questa noia che ad un tratto ti invadeva. Per un po’ facevi sempre lo stesso giro, vedevi sempre gli stessi palazzi, portoni, marciapiedi, luci, piante. Poi, ad un certo punto, ti fermavi su una panchina e da lì non ti muovevi più, diventavi apatico e pigro, ti arrendevi al fatto che non c’era altro intorno, ogni angolo diventava un punto di sosta ma solo per un periodo di tempo, perché, all’improvviso, ci si spostava altrove, senza una ragione evidente, in un altro angolo, sotto un altro palazzo, un altro portone, su un altro marciapiede, ma il dramma era che alla fine non cambiava granché.
A quel tempo, circa vent’anni fa, i locali si contavano sulle dita di una mano ed erano piccoli e angusti, neanche tanto affollati il sabato sera, però completamente vuoti durante l’arco della settimana. Oggi le cose sono cambiate da quel punto di vista, l’offerta per i ragazzi è aumentata. Il centro città si è ripopolato e le zone di via Mazzini e di via Ferrante sono rinate acquisendo una bella fisionomia. La città dei militari è diventata il luogo di una piccola movida che richiama ragazzi dalla provincia nelle sue birrerie e tutto questo all’ombra della Reggia, scenario unico al mondo.
Nonostante ciò credo che gli adolescenti di adesso ancora la detestino e vorrebbero scappare lontano alla prima occasione utile. Anche perché, parliamoci chiaro, detestare fa molto adolescente: gli adolescenti detestano la propria città, ma pure i propri genitori, i propri fratelli, gli insegnanti, i compagni, la scuola, e qualsiasi altra cosa capiti loro a tiro.
Una città come Caserta inizi ad apprezzarla solo una volta che cresci. Ti svegli una mattina e cominci a pensare che in fondo, in fondo in fondo in fondo, non è tanto male. Lo dici una volta, due volte, tre volte, e d’un tratto questa tua considerazione si trasforma in certezza: il fatto che sia piccola è all’improvviso rassicurante, in quel poco in cui ti muovi c’è tutto ciò che ti serve e la cosa ti basta. Cominci a pensare che sei affezionato a ogni suo centimetro nella convinzione che non riusciresti ad affezionarti ai centimetri di un altro posto, perché quei centimetri che conosci li conosci davvero, fanno parte di te, sono la scenografia immutabile nella quale tu sei nato, cresciuto, cambiato.
L’abitudine ti fa poi superare l’ostacolo dei suoi tanti difetti. I pochi parchi per i bambini, le barriere architettoniche, le piste ciclabili ubriacanti, le cattive abitudini di una parte dei suoi abitanti in fatto di rifiuti ed escrementi animali, l’amministrazione comunale inerte e perennemente sull’orlo della bancarotta. Ti ripeti che, come è accaduto per la donna che ami, della città in cui sei nato ami anche i suoi difetti, anzi sono proprio quelli che te la fanno amare perché nel tuo amore vedi anche il tuo costante e imperituro tentativo di correggerli.
Per questo, degli amici che lavorano fuori e che tornano durante le vacanze natalizie, preferisco sempre quelli che approfittano di questi giorni di ritorno a casa per abbandonarsi alla nostalgia, alle rievocazioni, che passano questo breve tempo non a criticare ma a cullarsi nei ricordi. Il posto dove siamo nati farà sempre parte di noi, anche se la vita ci porterà altrove, e questo è il destino al quale nessuno di noi può ribellarsi.
Stefano Crupi
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