Periodo di grande stress la scorsa estate. Così decido di fare un bel viaggio. Giappone. Tecnologia e tradizione che convivono come salsa di pomodoro, parmigiano, melanzane fritte e basilico in una gustosa e succulenta Parmigiana. Prendo un pacchetto completo, viaggio aereo A/R Roma -Tokyo più seminario della durata di sette giorni in uno de più antichi templi giapponesi, titolo del seminario: “La consapevolezza di se stessi attraverso la concentrazione”. Tra parentesi pagabile in 144 comode rate. Atterraggio. Narita Airport, Shin-Tokyo Kokusai Kuko. Uno stuolo di omini in abito d’epoca ci viene incontro, sono i monaci del tempio assieme a delle graziosissime hostess che ridono per qualsiasi cosa, anche quando in italiano chiedi se te la danno. Arriviamo al tempio. Cerimonia formale di accoglienza, purificazione dello spirito, cena a base di sushi e poi tutti a nanna che l’indomani la sveglia è alle 05:00. Mi sveglio prima della sveglia, alle 04:35, le città a quest’ora sono tutte uguali perché con la luce non c’è fascino, fanno tutte schifo. Entriamo nel tempio, digiuno meditativo, solo un bicchiere di thé verde. Di nuovo lo stuolo di monaci ma stavolta si aprono a ventaglio e sul tatami millenario fa il suo ingresso Sensei Takeshi Kengo. Alla sua sinistra un giovane monaco che traduce e parla un italiano improbabile, ma si fa capire. – Onolevole sensei Takeshi Kengo dice che ognuno voi sapele pelché essele qui. Voi chiedele aiuto pel celcale consapevolezza, ma non ci essele consapevolezza senza concentlazione. Maestro vi svelelà segleti di vostra più plofonda anima. Comincelemo con la posizione Tsuru, della glu. Credo abbia voluto dire “della gru”, animale mitologico e sacro per i giapponesi. Attorno a me 34 deficienti su di una gamba sola intenti a respirare ad occhi chiusi e sono convinto che non sappiano neanche perché lo stiano facendo; lo spettacolo è pietoso. Vaffanculo al maestro, alla processione dei monaci ed alle hostess che non te la danno, non scendo così in basso. Torno a casa. Boeing 787, stavolta rotta Tokyo-Roma, 750 Km/h, altitudine 900 metri, posto 12-c in corridoio, sorvoliamo l’Italia ed io respiro aria di casa. – Gentili signore e signori stiamo per cominciare le manovre di atterraggio, vi preghiamo di rimanere seduti ai vostri posti e di tenere allacciate le cinture di sicurezza… Ed è proprio in questi momenti che accade. Si manifesta irreparabile, l’imprevedibile, l’inevitabile peristalsi che dapprima ti fa stringere il culo e poi ti costringe a valutare contromisure d’emergenza. Mi alzo e m’incammino verso la toilette, l’hostess mi blocca a metà corridoio e, con il solito sorriso da onorevole in campagna elettorale, mi prega di ritornare a posto. La guardo dritto negli occhi e con poche parole, citando l’11 settembre 2001, le faccio capire che sorte avrebbe avuto l’aereo se non mi avesse lasciato espletare le mie più basse funzioni fisiologiche. La biondina arrossisce e nonostante regolamenti e procedure valuta la situazione e mi lascia passare. Raggiungo la toilette, che naturalmente è occupata. Mentre bestemmio e cerco di non pensare a ciò che dentro di me ansima in cerca della luce, la porta si apre. Ne esce la più bella rossa che abbia mai visto in vita mia, mi guarda sorridente e sorniona ed io la seguo con lo sguardo mentre guadagna ancheggiando il suo posto a sedere. Quasi dimentico perché sono lì in piedi ad aspettare, forse ho sempre e solo aspettato lei? Ciò che si muove dentro di me comincia quasi a parlare. Entro in bagno, la serratura è rotta, chiaramente; mi slaccio i pantaloni con la mano destra, con la sinistra abbasso i boxer, con un piede tengo chiusa la maledetta porta, mi giro e guardo la tazza per coordinarmi. Ce l’ho fatta. Ma sul coperchio del water totalmente abbassato si erge tronfio il più grande pezzo di merda che abbia mai visto in tutta la mia vita. Naturalmente non posso scappare e lasciare tutto lì, sicuramente tutti penserebbero, per prima la hostess, che sia io il genitore di quel mostro visto che sono stato l’ultimo ad usufruire dei servizi dell’aeromobile. Ed è proprio in quel momento che mi vengono in mente le parole di sensei Takeshi Kengo. Alla fine ho capito la lezione. Ho capito la sottile linea tra consapevolezza e concentrazione. L’uomo concentrandosi è capace di grandi cose, ed io una la ho davanti. Così sono diventato finalmente un uomo consapevole. Si, proprio su di un Boeing 787 che fa rotta Tokyo-Roma, adesso ad un’altezza di 700 metri dal suolo, consapevole di essermi cagato addosso.
Riccardo Ceres
riccardoceres@gmail.com