GIOVENTÙ BRUCIATA? SI, DALLA DISOCCUPAZIONE

Il lavoro è il rifugio di coloro che non hanno nulla di meglio da fare”. Così Oscar Wilde, alla fine dell’Ottocento, definiva il fulcro dell’attività umana. E poteva permetterselo perché veniva da una famiglia agiata: il padre era un medico di levatura internazionale, la madre una celebre poetessa irlandese. Quindi, guidato dal suo spirito anticonformista, poté dedicarsi agli studi e alla scrittura senza la spada di Damocle di chi deve affannarsi a sfangare la giornata. Anche tra i giovani d’oggi esistono gli ‘Oscar Wilde’ ma sono davvero pochi. Per i più trovare un lavoro è condizione imprescindibile per cominciare a vivere la propria vita. Se storicamente siamo abituati come italiani, ma ancor più come campani e casertani, a livelli di disoccupazione vertiginosi (negli ultimi dieci anni la disoccupazione nella nostra provincia è passata dal 12% al 20% con un picco del 51% per quella giovanile), ciò che mi sorprende è l’avanzata del fenomeno neet. I neet, (acronimo inglese che sta per Not engaged in Education, Employment or Training), sono gli under 34 anni che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in tirocini formativi. In Campania sono un esercito di oltre 600mila giovani: dai fuoriusciti dal sistema scolastico ancor prima della maggiore età fino ad arrivare ai laureati specializzati che cercano un impiego in linea con le proprie aspirazioni. Caserta segue il trend regionale con percentuali superate solo da alcune zone della Turchia o dalle enclave spagnole in Africa. Quindi la situazione di un giovane di Terra di Lavoro (sarebbe ora di cambiarlo questo nome) quando decide di entrare nel mondo del lavoro è più o meno la seguente. Invia 3-4mila curricula e comincia con uno stage non retribuito o con piccolo rimborso spese ma dopo tre mesi lo salutano. Passa a lavoretti precari a nero del tipo barista, commesso, call center etc., pagati troppo poco per consentirgli di diventare autonomo e che non gli lasciano tempo libero da investire magari in ulteriore formazione. Poi c’è il concorso pubblico. Attenzione, se si studia si riesce ad entrare nella pubblica amministrazione. Il dramma è che la politica illuminata del nostro Paese di aumentare sempre più l’età pensionabile ha precluso l’accesso al posto fisso per almeno un paio di generazioni. Concorsi con più posti ci sono solo nelle forze armate e comunque bisogna dare per scontato che poi bisognerà lasciare la propria città. Stufi di essere rifiutati, mal pagati (a nero), ricattati e di vedere il “figlio di” che lo scavalca continuamente, decide di prendere due strade: rimanere a Caserta e diventare neet oppure emigrare. Di neet la nostra città è invasa. Dalle 9 alle 13, orario in cui le persone dovrebbero stare al lavoro, il traffico impazza ovunque e i bar sono pieni di gente come anche i supermercati. L’altra strada è quella dell’emigrazione. Rifletto su quanto siano stati vani i sacrifici dei nostri nonni e dei nostri padri se oggi siamo tornati ai livelli di espatrio di inizio Novecento. La cosiddetta fuga dei cervelli non comporta solo un impoverimento in termini potenziali del nostro territorio ma anche un’emorragia economica stimata in 14 miliardi di euro l’anno a livello nazionale. Considerate che la spesa di una famiglia per la crescita e l’educazione di figlio fino ai 25 anni è stata calcolata in 165mila euro. Praticamente soldi buttati nel cesso, anzi regalati a Germania, Inghilterra, Stati Uniti, nazioni che accolgono nel migliore dei modi i nostri connazionali e che li mettono in condizione di coronare le proprie aspettative professionali. Se questo è il quadro, la domanda è: “cosa fa chi dovrebbe tutelare i lavoratori e soprattutto i giovani?”. La risposta la conoscete già. Governo, imprese, enti locali, sindacati sono latitanti. Anche il terzo settore, negli ultimi anni, ha abbassato la guardia nei confronti della tematica occupazionale anche perché oggi c’è qualcosa di più redditizio da coltivare. Gli unici che sembrano avere a cuore la questione sono gli enti di formazione che sono spuntati come funghi in seguito ai programmi finanziati dalla UE. Corsi gratuiti o addirittura corsi dove i partecipanti ricevono un compenso di poche centinaia di euro per la durata del percorso. Corsi ridicoli e inutili che hanno arricchito solo gli enti che hanno saputo raccogliere la maggior parte dei finanziamenti a pioggia di matrice europea. Provate a digitare su Google “corsi gratuiti per disoccupati”. Fatevi una domanda, datevi una risposta. La cosa triste è che le nuove generazioni sono sempre più convinte che Oscar Wilde avesse proprio ragione.

Gaetano Trocciola
ganox@hotmail.com

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