Sarà che più di altri siamo esposti all’imponderabile ma pochi, come noi marinai, possono contare su un numero così importante di Santi protettori. Volendo solo citare i principali e senza mancare di rispetto per gli altri, per carità, come nel caso di Santa Firmina, affidiamo la nostra vita: a Santa Barbara, se imbarcati su Navi Militari, San Francesco di Paola se su Navi Mercantili, a Sant’Erasmo (conosciuto anche come Sant’Elmo) sempre e comunque perché ci guardi dalla tempesta. Antichissima, nel caso di quest’ultimo, la devozione che viene rivolta dalla gente di mare a questo Santo, che fu Vescovo di Antiochia nel III secolo d.C e trovò la morte nel 303 a Formia, ove, come si tramanda, era stato portato in volo dall’Arcangelo Michele a seguito dei supplizi patiti. Dopo la distruzione di Formia, nel IX secolo, da parte dei Saraceni, i suoi resti, ritrovati, furono portati a Gaeta, città di cui è ora compatrono. Ma come nacque il culto marinaro di Sant’Elmo? Dobbiamo ancora ricorrere alla tradizione. Sembra infatti che il Santo, salvato dal naufragio da una nave, promettesse in ricompensa al Capitano di avvertirlo dell’arrivo della burrasca con un fuoco apparso sull’albero di maestra. Da allora così fu e del fuoco di Sant’Elmo riferirono al ritorno dai loro viaggi molti celebri navigatori. In realtà, ci aiuta la fisica, i veloci lampi blu, che rischiarano le formaggette degli alberi di maestra delle navi in tali condizioni, altro non sono che il cosiddetto effetto corona che si viene a determinare, intorno alle punte degli alberi della nave o delle antenne, a causa della maggiore densità di carica elettrica atmosferica che si produce all’avvicinarsi della tempesta. Viva Sant’Elmo!
Pio Forlani
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