I RITRATTI DI BAMBA

Il principio di Archimede sostiene che un corpo immerso in un liquido riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al peso del volume spostato. E chi se ne frega, mi ha risposto Bamba il giorno in cui io glielo spiegai:”…io so solo che quando rischi tutto per arrivare vivo a Lampedusa, cadere in mare vuol dire morire!”.
Beata franchezza degli africani. Pane al pane, vino al vino. Anche le basilari leggi della fisica chiedono scusa e fanno posto, di fronte al modo immediato d’interpretare la realtà tipica degli immigrati.
E Bamba ha un modo tutto suo di esprimere le sue idee controverse, che mettono in discussione ogni cosa: la fotografia.
Giunto in Italia nel 2008, si è sbattuto parecchio per sopravvivere. Ha fatto il manovale a giornata nei cantieri di Pozzuoli, ha raccolto il tabacco a San Felice a Cancello, si è spostato da Caserta a Foggia in più occasioni per la raccolta dei pomodori. Però, incredibilmente, non si lamentava mai delle paghe basse, delle condizioni lavorative o di come di datori di lavoro trattassero, o addirittura maltrattassero, i lavoratori come lui. No. Lui sopportava come uno che aveva già messo in conto.
Ma i giornalisti, Bamba, proprio non li ha mai sopportati. La sua stoica pazienza, che lo ha portato a reggere anche 13 ore di lavoro al giorno nei campi pugliesi, sotto il sole d’agosto, di fronte ai giornalisti non regge. Si esaurisce. “…sono sempre alla ricerca di due tipi d’immigrato: o quello che oppresso dalla vita fa la faccia triste da sfigato, o quello che è arrabbiato col mondo e tira un calcio al cassonetto!”, mi spiegò un giorno al limite della sopportazione. E mi raccontò che un giorno un operatore di un associazione portò a casa sua un giornalista che doveva fare un pezzo sul disagio abitativo degli immigrati. Bamba lo cacciò fuori quando questo obiettò che casa sua, per quanto modesta e sfigatissima, non era abbastanza sporca e disordinata per rendere l’idea che aveva in testa lui. Bamba gli avrebbe messo le mani addosso, se solo avesse potuto.
Ad ogni modo un giorno ci spiegò che aveva avuto un’idea: comprare una macchina fotografica reflex, o come diceva lui “di quelle che costano un botto”, e documentare la vita degli immigrati secondo lui. Senza filtri, senza altri obiettivi, senza nulla da dimostrare.
E soprattutto senza giornalisti.
Diceva che un giorno forse avrebbe proposto a qualcuno di fare una mostra o un’esposizione delle sue foto.
La macchina fotografica alla fine se l’è comprata. Risparmiando piano piano. E noi gli auguriamo di riuscire un giorno.
Nel frattempo però ci ha fatto vedere già alcuni suoi scatti. E di questi, tre hanno attirato la nostra attenzione.
Nella prima foto si vedono le scarpe da lavoro di alcuni suoi coinquilini messe in fila, una di fianco all’altra, fuori dalla porta di casa, lungo il muro. Ci spiegò che in Africa le scarpe di una persona ti dicono tutto: che lavoro fa, da dove viene…
La seconda foto immortalava una donna africana, immigrata anche lei, che cucinava col suo bimbo che dormiva sulla sua schiena. Ci spiegò che quella donna, che era la moglie di un suo amico, in quel momento di scena domestica gli aveva ricordato la sua mamma. E lui, senza che lei se ne accorgesse, era riuscito a scattarle una foto.
La terza, la più bella di tutte, è un fotogramma di lui che si scatta una foto davanti allo specchio del bagno di casa sua. Un selfie, diremmo oggi. Nella foto si vede la sua testa parzialmente nascosta dietro la sua macchina fotografica “che costa un botto”, nell’istante in cui sta scattando.
Quest’ultima ci ha colpito perché è molto più di una semplice foto: è una sfida. Bamba adesso, come vive davvero un immigrato, ce lo racconta da sé.

Gian Luca Castaldi
gianluca.castaldi@gmail.com

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