IL CASO DE MICHELE

Il caso Mario De Michele, il giornalista di Cesa che ha ottenuto la scorta grazie a degli attentati alla sua persona che si sono rivelati essere dei falsi, messi in scena cioè, secondo i magistrati della Procura anticamorra di Napoli, dallo stesso De Michele, ha molte implicazioni, e tutte egualmente importanti. Mi concentrerò però, in queste righe, su quelle che ritengo “socialmente” più interessanti, perché attengono al ruolo della stampa in una provincia a forte presenza mafiosa, e alla direzione che sta prendendo la lotta alla criminalità organizzata. Non mi cimenterò in spiegazioni psicologiche di quanto accaduto, ma porterò qualche fatto. Conosco da anni De Michele e almeno inizialmente l’ho sempre apprezzato per la sua vivacità mentale e culturale, che lo faceva essere provocatorio ma sempre intelligente nel porre le domande durante le interviste. E ciò a prescindere dalle sue frequentazioni, che ho sempre trovato particolari, un po’ al limite secondo il mio modo di vedere le cose: lo ricordo al tribunale di Santa Maria Capua Vetere far parte del codazzo di persone che seguiva l’ex sindaco di Villa Literno Enrico Fabozzi, sotto processo per concorso esterno in camorra. De Michele seguì tutto il dibattimento, al termine del quale Fabozzi è stato condannato; durante un’udienza – era il 26 giugno 2013 – si fece anche cacciare dall’aula dal pm della Dda di Napoli Antonello Ardituro perché aveva applaudito alle parole di un testimone, che però non era uno qualsiasi, ma Nicola Ferraro, colletto bianco dei Casalesi, ex consigliere regionale Udeur nonché imprenditore dei rifiuti condannato per collusione con il clan. Racconto questo perché, quando a novembre scorso De Michele denunciò che ignoti avevano sparato dieci colpi di pistola contro la sua auto, qualche investigatore più avveduto mi chiese: “Ma chi è questo De Michele che denuncia tanti attentati contro di lui e che nello stesso tempo viene querelato da diverse persone, anche sindaci e amministratori, che lo ritengono assolutamente inattendibile?” Io risposi con le cose qui scritte, che non sono il Vangelo, ma fatti che aiutano a rendere l’idea di un personaggio. E tra i fatti che sono sotto gli occhi di tutti, ben oltre le frequentazioni, compaiono i tanti editoriali scritti negli ultimi anni da De Michele sul suo portale “Campania Notizie”: la massima parte sono attacchi con accuse mai verificate a personaggi importanti dell’antimafia casertana, al di sopra di ogni sospetto, come il sindaco di Casal di Principe Renato Natale, o Valerio Taglione, coordinatore del Comitato don Diana morto di recente; attacchi a giornalisti impegnati nella lotta ai clan, ad ex amministratori come Gianni Zara, ex sindaco di Casapesenna la cui denuncia ha portato alla condanna per un anno e mezzo di carcere, nel gennaio scorso, dello storico sindaco del paese di Zagaria, quel Fortunato Zagaria solo omonimo del boss. Qualcuno ha querelato De Michele, anche prima che avesse la scorta, a Napoli avranno anche letto i suoi editoriali, eppure nessuno, dal sindacato dei giornalisti all’Ordine, si è premurato di informarsi sull’attendibilità di un cronista che si diceva vittima di atti talmente gravi, da dover quantomeno far nascere domande spontanee su quali articoli o inchieste avesse mai fatto per attirarsi addosso tanto odio. Sindacato e ordine hanno voluto vedere solo una parte della storia, quella falsamente inventata da De Michele, eppure possedevano tutti gli elementi per giudicare la vicenda con maggiore oggettività. E così tutti, dai media locali a quelli nazionali, hanno preso per buona la sua versione facendolo diventare un simbolo dell’anticamorra; probabilmente così conveniva. Ricordo addirittura che per De Michele è venuto un vice-ministro a Caserta (Matteo Mauri, era il 5 febbraio scorso) e che alla redazione casertana de Il Mattino, la Federazione della stampa organizzò un incontro alla presenza del cronista e di altri giornalisti casertani che hanno denunciato minacce; io non ci andai perché ho sempre nutrito dubbi sui racconti di De Michele e credo che in tanti avrebbero dovuto avere dei dubbi, invece di ripudiarlo ipocritamente dopo averlo beatificato. Sarebbe bastato leggere i suoi continui attacchi a tutto e tutti, chiedere alle forze dell’ordine che avevano più di una remora su De Michele. In un messaggio telefonico scrissi a De Michele che avrebbe fatto bene a verificare le accuse lanciate nei suoi editoriali, e lui mi rimosse dai contatti, e in un editoriale successivo attaccò anche il sottoscritto: mi definì “un giornalista frustrato di agenzia”. Ma gli attacchi giornalistici di De Michele non erano il frutto di una “mente libera”, avevano un motivo preciso: erano infatti un modo per delegittimare un intero mondo fatto di persone perbene e oneste dedito alla lotta alla criminalità e portare acqua al mulino del sindaco di Casapesenna Marcello De Rosa, attualmente in carica, cui De Michele si è avvicinato da qualche anno, e alla cui difesa ha dedicato tanti editoriali. De Rosa è stato indagato per concorso esterno in camorra, ma la sua posizione è stata archiviata; io, come altri colleghi, negli anni scorsi ho scritto delle accuse contestate a De Rosa, e penso che lo abbiamo fatto nel pieno rispetto del diritto di cronaca, anche perché Casapesenna è il paese in cui è nato, cresciuto e ha trascorso parte della latitanza un capoclan del calibro di Michele Zagaria. Quando nell’ottobre 2019 c’è stata l’archiviazione, De Michele ha scritto un lungo editoriale a favore di De Rosa dal titolo emblematico, di cui riporto una parte: “Rasati al suolo i professionisti dell’antimafia e i giornalisti del cerchio tragico”. Eppure anche la vicenda umana di De Rosa resta molto particolare, come quella di De Michele: nel 2014 il sindaco ebbe la scorta per aver subito una rapina in abitazione, fatto di cui non sono mai stati chiariti i contorni. Fu nel frattempo indagato, ma l’immagine di sindaco con la scorta gli ha giovato, facendolo arrivare in tv. Pochi mesi fa la sorta gli è stata però tolta, perché il pericolo è cessato, eppure dei rapinatori non c’è traccia; potrebbero essere in giro e costituire ancora un rischio per De Rosa. La mia idea è che i casi De Rosa e De Michele possano essere collegati, due identiche parabole in cui pare emergere la volontà di farsi un’immagine che probabilmente è diversa da quelle effettiva. Staremo a vedere, se mai emergerà la verità, intanto viene da interrogarsi su cosa è diventata la lotta alla camorra: De Michele e De Rosa hanno avuto credito nei mass media e nella politica, mentre persone come Renato Natale, o le vicende dei familiari delle vittime innocenti dei clan cui gli indennizzi vengono puntualmente negati dallo Stato, sembrano caduti nel dimenticatoio. E fa davvero male osservare colleghi giornalisti e politici indignati per il comportamento di De Michele dopo averlo ricoperto, fino al giorno prima, di gloria: fa male per chi questo lavoro lo fa onestamente e con professionalità, tra pressioni, minacce e nel silenzio. Fa male per personaggi come Valerio Taglione, che ha dedicato una vita alla lotta alla mafia, a creare una rete di associazioni che producesse economia legale in questi territori violentati dai clan. Per questo dico che il caso De Michele ha un lascito positivo: invita tutti, in primis i mass media, ad alzare l’asticella dell’informazione, il suo livello, con un lavoro continuo e meticoloso di riscontro delle tante notizie che ci arrivano. Non è semplice, ma l’abbiamo visto in questi tempi di pandemia quanto sia importante e necessaria un’informazione professionale.

Antonio Pisani
antonio.pisani76@gmail.com

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