IL CORPO DELLA SAPIENZA

Nell’editoriale di apertura del Politecnico, rivista del dopoguerra, Vittorini scrive un testo dedicato ad “una nuova cultura”: Non più una cultura che consoli nelle sofferenze ma una cultura che protegga dalle sofferenze, che le combatta e le elimini.
Cito liberamente dal testo:
“Per un pezzo sarà difficile dire se qualcuno o qualcosa abbia vinto in questa guerra. Ma certo vi è tanto che ha perduto. I morti sono più di bambini che di soldati; le macerie sono di città che avevano venticinque secoli di vita; di case e biblioteche, monumenti, cattedrali, e i campi su cui si è sparso più sangue si chiamano Mauthausen, Buchenwald, Dakau.
Di chi è la sconfitta più grave in tutto questo che è accaduto? Vi era bene qualcosa che, attraverso i secoli, ci aveva insegnato a considerare sacra l’esistenza dei bambini. Anche di ogni conquista civile dell’uomo ci aveva insegnato ch’era sacra. E se ora tanto che era sacro è stato lo stesso colpito e distrutto, la sconfitta non è anzitutto di questa «cosa» che c’insegnava l’inviolabilità loro? Questa «cosa», voglio subito dirlo, non è altro che la cultura. E se il fascismo ha avuto modo di commettere tutti i delitti che questa cultura aveva insegnato ad esecrare già da tempo, non dobbiamo chiedere proprio a questa cultura come e perché il fascismo ha potuto commetterli?”
L’anno scorso lessi questo testo e mi accorsi che interrogava direttamente il mio essere qui oggi e per questo scrissi una risposta a Vittorini.
Vorrei rispondere a Vittorini oggi partendo dalle mie Parole sotto sale, che metto sotto sale perché “sapere” deriva da sapio, avere sapore, fin nella carne. Se qualcuno ti morde sente il sapore di ciò che sei e sai e per un po’ dovrebbe saperlo anche lui. E la Sapienza è allora quella specie di sapore salato che dà il sapere.
Perché se una cosa non la sai nel corpo della tua carne, tu non la sai.
Perché le parole sono il modo che abbiamo per parlare a noi stessi, sono la forma dei nostri pensieri che si faranno azioni. Puoi parlare all’infinito di qualcosa che non si è incarnato in te, ma il tuo parlare sarà sterile perché non sei intero e integro: Ti sei fatto a pezzi. L’intelletto, da una parte, come professione e il corpo, dall’altra, da usare e abusare. Ben separati.
Due morali, due mondi che non sanno dialogare. Un due che non si fa mai uno.
Gli antichi egizi consideravano il cuore la sede della mente e Socrate diceva che conoscere è ricordare, ripassare attraverso il cuore ¬ – cor/cordis – cuore in latino.
Vittorini più avanti cita Platone e Gesù, Platone scriveva di Socrate nei suoi dialoghi,
ma Gesù e Socrate non hanno mai scritto una sola parola in un libro, perché sapevano che la parola senza corpo è troppo facile da tradire.
La sapienza non può stare in un libro.
La sapienza può stare solo nel corpo, e se lo mordi la senti.
In un libro c’è la memoria di una sapienza, ma bisogna partorirla.
Perché nasca nel mondo le serve una madre, serve la carne, la materia che è sempre la mater dello spirito – per questo la chiamiamo mater-ia, la materia -.
Senza la carne, la sapienza è lettera morta, il libro sua tomba.
Perché rinasca deve essere portata in corpo.
Allora io adesso lo so perché la nostra cultura ci ha sempre tradito nel momento del bisogno.
Perché è rimasta lettera morta nei libri.
Perché non è scesa nei corpi degli uomini che la proclamavano a gran voce.
Perché le parole quei corpi le recitavano, citandole sui palcoscenici del mondo
invece di servirle e farsi strumento facendosi suonare, lasciandosi attraversare.
È rimasta informazione dentro, in gestazione nei corpi, non partorita e non si è fatta azione.

E dopo qualche giorno con stupore ho forse compreso perché manca tanto il corpo alla nostra cultura e non si è incarnata in pensieri, parole, opere ed azioni, ma soprattutto omissioni. Perché il corpo del desiderio è stato quasi sempre bandito da ogni ministero della cultura e della religione. Il corpo della nostra cultura è quello della volontà ed è il corpo di un uomo maschio. Il corpo del desiderio, il corpo erotico, è quello dell’uomo femmina – non si dice in italiano – il corpo della donna, ed è sempre stato cacciato con terrore, relegato, come si fa con la rivelazione nelle religioni, rilegata in parole educate perché non bruci, non infiammi, non scotti troppo. Il corpo delle donne è stato relegato in case e abiti e catene e bruciato, umiliato, ferito, violato, gli è stato tolto l’accesso alla parola che era il regno del padre celeste e terrestre, dai ministri del culto.
I libri, la gran parte dei libri che tanto amiamo, li hanno scritti per lo più i corpi degli uomini, al corpo delle donne è rimasto l’amore e la vita, il mistero, senza le parole per dirlo. Ma bandendo il corpo della donna si è bandito il corpo dell’amore, il corpo ferita e cura, il corpo sapienza e lo si è bandito per tutti. Uomini e Donne, indistintamente. Indistintamente, perché anche il corpo dell’uomo è carne e materia, forma cava dove accogliere e partorire lo spirito.
Dovremo ripartire allora tutti forse dalla filosofia, come la intendevano gli antichi, che si infiammavano per la sapienza di un amore erotico, carnale.

Claudia Fabris
ratacla@libero.it

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