IL FUTURO È GIÀ PASSATO

“Il futuro è già passato, e non ce ne siamo neanche accorti” è l’amara conclusione di Gianni (Vittorio Gassman) nel finale del film “C’eravamo tanto amati”, girato da Ettore Scola nel 1974. Una conclusione divenuta icona metaforica, che esprime tutto il disincanto di una generazione, quella di allora, davanti cui era scorso un ventennio (quello degli “anni del boom” italiano sapientemente descritti dalla cronista Miriam Mafai in un suo libro) carico di aspettative e ideali, molti dei quali andati poi delusi o comunque non pienamente compiutisi. Ebbene, quelle parole e quel sentire risuonano forte e risultano attuali ancora oggi, sia pur in circostanze sociali ed economiche completamente diverse da quelle di allora. La disaffezione e il disorientamento regnano sovrani, acuiti anche dal riemergere, non solo terminologico, di fenomeni e pratiche che si ritenevano ormai estinte ed espressione di tempi lontani e spesso oggetto delle retrospettive di Rai Storia, canale 54 del digitale terrestre. Sono tornate, infatti, in voga, all’interno di ciò che rimane del Pd, contestualmente alle scissioni, alla sinistra di questo (una volta si parlava di scavalcamenti), le famose correnti politiche, simbolo dei partiti della Prima Repubblica. E con esse i particolarismi ed anche le nostalgie “proporzionalistiche. Insomma, sono passati più di trent’anni e forse non ce ne siamo accorti. Certo molto di quello che c’è stato nel mezzo, molto della Seconda Repubblica, è stato da film dell’orrore (Porcellum in primis), facendo emergere dalle retrovie orde di personaggi politici eticamente impresentabili ed indegni anche del dopo lavoro ferroviario (cui chiedo scusa per la citazione a mo’ di esempio) o della bocciofila di anonime frazioni. Ma è altrettanto vero che gli albori di quella stagione politica furono segnati anche da tante nuove speranze, dalla stagione dei Sindaci, da nuove leggi elettorali e dalla nascita di un modello bipolare, pur non perfetto e con diverse falle, ma che rappresentava comunque un qualcosa di nuovo per il sistema politico italiano.  Non furono, insomma, tutti da buttare quegli anni, lo spartiacque fu, come detto, il Porcellum che, privando del tutto l’elettorato della facoltà di scelta, decretò la fine della legittimazione del concetto stesso di rappresentanza politica. Al netto di ciò, oggi, dalla decadenza socio politica attuale, non emergono che particolarismi e come un dejavù, le correnti. Naturalmente, oggi come allora non manca il tentativo di darvi un supporto giustificativo, con la differenza che al pluralismo ideologico si è sostituito quello semplicemente di bottega, di affari e clientele. Ma sono, del resto, gli attuali, tempi strani di continue contraddizioni e repentini cambi di vedute, tempi di vuoti morali e culturali collettivi, che molti provano a riempire sottolineando ciò che normalmente dovrebbe essere sottinteso. La mia insegnante al Ginnasio avrebbe detto al riguardo “è pleonastico ripetere…”. Si parla molto, ad esempio, negli ultimi tempi, in politica, di “responsabilità”. Perché? Probabilmente proprio perché se ne deve nascondere la carenza. Quando mai un professore direbbe di tenere una lezione con alto senso di responsabilità, un magistrato di giudicare con coscienza delle sue responsabilità, un chirurgo di operare con vigile responsabilità? La lezione, la sentenza, l’operazione, implicano responsabilità, cioè coscienza e capacità dell’operare. È un sottinteso che non ha bisogno di essere espresso e ribadito a parole. Lo stesso dicasi per l’abusata espressione “onestà intellettuale” come se fosse possibile scindere (parola di moda…) o frazionare il contenuto di un valore unitario su diversi piani. Anche qui un pleonasmo, avrebbe ribadito la mia prof…

Vittorio Pisanti
vittopisanti@gmail.com

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