IL GATTO NERO

In questo notissimo racconto Poe dedica la sua attenzione all’amore per il mondo animale. Il protagonista, il quale ama circondarsi di una specie di “giardino dell’Eden”, vive in totale appagamento la sua vita coniugale, condivisa con varie specie animali. È quel gatto, solo quel gatto a stimolare strane emozioni, inspiegabili impulsi malvagi. Quell’animale innocuo e prezioso per una particolare innata intelligenza, svela senza potervisi opporre, il “doppio” oscuro e fragile del protagonista. Il gatto stesso mostra il proprio gemello, un gemello non identico però, macchiato del suo opposto, che lo identifica con una macchia bianca.

Le emozioni che guidano il piano folle del protagonista crescono a dismisura, dapprima rivelandosi solo con un desiderio di liberazione da questo “peso nel cuore”; con il tempo però, sfociate in un vero proprio delirio e crimine, vengono da lui organizzate in una parvenza di idea, di soluzione tecnica che tende alla perfezione, e che lo soddisfa: “il muro non presentava traccia di alterazioni”. Quel muro perfetto, rifatto ad arte dalla sua follia omicida, sta lì a comprimere il segreto, fino a quando la visita di qualcuno mostra la cosa ad occhi neutrali. Il muro sembra assicurare la felicità nascondendo l’ombra dello squilibrio, delle emozioni incontrollate, ma, proprio nel momento cruciale dell’illusione di assoluta solidità’, lo stesso realizzatore lo mette alla prova; e sono proprio le vibrazioni del battito di un bastone a risvegliare il segreto, quasi bastasse una minima unità di suono per far crollare l’intero apparato criminale celato dietro “una casa ammirabilmente ben costruita”.

Ma questo luogo nascosto, enorme ombra che non desta preoccupazione, come si rivela? Bene, con un suono, certamente, e siamo qui per notarlo. Inizialmente impercettibile, un fischio, un vagito, il suono si rivela come un primordiale segno di vita, innaturale per il fatto che esce da un tumulo (chissà se Allan conosceva le teorie gnostiche per cui il corpo sarebbe la tomba dell’anima). Ben presto, questo velato singhiozzo diventa un grido inumano di cui l’autore fornisce i dettagli: “un urlio, un mugolio, metà di spavento e metà di trionfo”. Questo grido crea un’immobilità generale, una sensazione fisica di gelo a sostituire i pensieri, perché forse, è il pensiero stesso ad aver tentato di murare il mostro, il quale però torna, con un ultimo gesto di liberazione: il muro che inutilmente lo nasconde crollerà, sbriciolato dall’evidenza dell’Urlo. Questo Urlo dunque, ne Il Gatto Nero, è per me opposto al pensiero; non il pensiero razionale, fantastico strumento di indagine, bensì il pensiero spurio, macchiato, asservito ad impulsi sconosciuti, travestiti con parvenze di anonima superficie piana che l’Urlo stesso, con la sua potenza, spalancherà al mondo. Buon ascolto.

Mela Boev
mela.boev@gmail.com

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