Sette anni sono passati. Giorno più, giorno meno. Questa non definizione calendaria racchiude forse la vera poesia e magia degli incontri. Un po’ come dalle nostre parti si ha uso di dare un appuntamento tra le sette e le sette e mezza. E accade sempre che si incontrino, loro, la gente delle nostre parti. Impensabile ‘sta cosa nel nord industrioso, men che meno a Parigi dove se si osasse fare una proposta del genere ti ritroveresti al St Anne. Al manicomio. Così è Santa Maria Capua Vetere, città sospesa tra sacro e profano, veterana capitale della storia, un luogo reso importante dal Tribunale ma consegnato all’immortalità grazie ai due più grandi rivoluzionari di tutti i tempi, Spartaco ed Errico Malatesta. Di quest’ultimo varrebbe la pena ricordare uno dei suoi slogan più famosi: noi vogliamo per tutti pane, libertà, amore, scienza, oltre alla magnifica biografia romanzata di Vittorio Giacopini: Non ho bisogno di stare tranquillo. Pane, libertà, amore e scienza. Forse queste parole racchiudono sinteticamente e meglio di qualsiasi discorso, il senso stesso della letteratura. Innanzitutto pane. Eppure da noi più che altrove l’adagio, si fa per dire, “Carmina non dant panem”, lo portano tatuato sul collo quanti si siano provati a fare dell’arte, non solo quella letteraria, non rinunciando alla vocazione e sfidando spesso in famiglia o tra gli stessi amici, il “buon senso” che sembra accampare quel dictat. Che poi la sentenza attribuita ad Orazio di Orazio non è. Inoltre è monca della seconda parte che recita “sed labor et industria”. Forse per questo, in Terra di Lavoro, il detto pare difficile da contraddire anche se… C’è un vero rinascimento delle lettere nelle nostre terre grazie a un numero incredibile di autori e autrici che sfidando l’improbabile rapporto tra lettori e scrittori – basterebbe considerare il numero di librerie presenti in città, per fortuna di qualità, per farsene un’idea – si sono imposti nel panorama nazionale e internazionale. Chi più chi meno. Allora chi o cosa deve assolvere questa delicata funzione di “servire il pane” a tavola di chi ha talento, desiderio e ambizione letteraria? Sette anni sono passati da quando un giovane e talentuoso autore di racconti mi chiese come fare per rendere la propria materia quanto più degna di attenzione da parte del mondo editoriale. Al giovane, che qui non si riferisce al dato anagrafico ma a quello bibliografico, risposi a stretto giro: Giovanni Lamanna. Lui è il tuo uomo. E per dare corpo a quella mia intuizione usai un passaggio contenuto proprio in uno dei passaggi che mi aveva dato da leggere:
Non posso lasciarlo unico narratore: quest’uomo da solo proprio non ce la fa. Esiste
un detto colombiano che dice
– Questo cane ha bisogno di un altro cane che lo assista.
Giovanni Lamanna vive e lavora a Santa Maria Capua Vetere.
Da allora l’ho sempre visto lavorare con grande spirito di abnegazione, passione, qualità, con un numero via via crescente di scrittori e scrittrici, molti non più di primo pelo, fino a fondare la sua agenzia letteraria la Gilam Agency, che per mio spirito dandy, amo leggere Glam. Ci trovi molti autori campani, come Attilio del Giudice, Peppe Lanzetta, Gian Piero Lumbau, Silvia Tessitore, Felice Piemontese, Gianfranco Pecchinenda (nella foto mentre firma il contratto con i suoi nuovi editori) Elena Starace, ma anche scrittori americani, Roger Salloch, piemontesi, liguri, com’è giusto che sia per ogni impresa che si proponga, come la letteratura, di abbattere muri. Lo trovi alle fiere importanti di Roma e Torino, a Francoforte, con quel suo sorriso che vale le poche ma sempre sensate parole che dispensa, a volte con un no, il più delle volte con un si. È importante avere un agente letterario? Se si scrivono libri, certamente. Se è per darsi un’aria, quella di chi dice “il mio agente” come qualche tempo fa ti dicevano “è il mio psicoanalista”, non proprio anche se male non fa, si dice. Un agente letterario fa il lavoro sporco per te. Ma solo perché ti rimanga il tempo per fare al meglio quello pulito. Seguire i contratti, recuperare crediti, “sentire” proprio nel senso di annusare, come un cane da caccia, la pista da seguire e quella da evitare perché inutile. Giovanni Lamanna ha un solo difetto, forse, ed è quello di pensare al pane da procacciare agli altri a volte dimenticandosi di sé. Un po’ come l’eroe anarchico di cui dicevamo prima e di cui il grande filosofo russo Pëtr Kropotkin aveva scritto:
“Un uomo pieno di fuoco e d’intelligenza, un idealista puro, che in tutta la sua vita – e ormai ha quasi cinquant’anni – non si è mai preoccupato di sapere se avrebbe avuto un pezzo di pane per la sua cena o un letto per riposarvi la notte.”
Francesco Forlani
communistedandy@gmail.com