IL TELEFONO A DISCO ED IL DIRITTO ALL’IRREPERIBILITÀ

Partito, con qualche mese di anticipo dalle acque dell’Oceano Pacifico, l’eco del ‘Niño del secolo’ proseguì con prepotenza fino a lambire le coste italiche. Da questo lato del globo aveva trovato un socio affidabilissimo nel Pirata di Cesenatico. Il Giugno del 1998 si presentò infuocato come mai prima, almeno, a memoria di noi quasi ormai ex adolescenti prossimi ad una maturità impellente, arrivata inattesa come la combo Fisica-Scienze Naturali all’orale e la traversa di Di Biagio poi.
In quei pomeriggi di inizio estate, la televisione generalista di Stato, ancora solido protagonista, insieme al gruppo del Biscione, del monopolio della comunicazione, intervallava le inquadrature in primo piano della bandana di Marco Pantani con gli occhi ancora allegri da italiano in gita in Valgardena con gli iniziali messaggi minacciosi di ‘Fissa il prefisso’.
Fare il prefisso per gli uomini e le donne di quel tempo era un vero e proprio rito, soprattutto nei giorni ricordevoli. Sul mobile, all’ingresso di corridoi chilometrici grandi quasi quanti gli appartamenti stessi, ci aspettava la sentinella della nostra libertà, l’ultimo baluardo di quella che, di lì a breve avrebbero ribattezzato, con un fastidioso inglesismo, privacy: il telefono a disco. Fino a quel momento comporre faticosamente il prefisso, dopo aver alzato la pesante cornetta, era stato sempre un passaggio che implicava uno sforzo fisico, finalizzato soprattutto a sentire la voce di parenti lontani con chiamate extraurbane o addirittura intercontinentali, a seconda dell’ondata di migrazione lavorativa a cui gli zii di turno avevano aderito.
Nell’anno in cui fu commercializzata l’edizione di Windows, apripista per il mondo di contatti come oggi lo conosciamo, per paradosso venne sdoganato il prefisso. Fummo obbligati ad usarlo anche per le chiamate per i consanguinei più prossimi, quelli che abitavano nella stessa provincia. I più fortunati erano coloro che avevano ‘lo zio ‘America’ con meno zeri nel numero da selezionare più che una quantità maggiore nella cifra del conto in banca. Dopo il nove, ultimo della corsa, il disco impiegava un tempo infinito a ritornare in sede e lo spazio d’attesa per tentare una chiamata urgente poteva aver mutato anche il mio timbro di voce da bimbino ad adulto, da Topolino al Califfo.
Ma fu soltanto l’ultimo canto del cigno di quell’ormai defenestrato e stanco re della teleselezione, ormai prossimo ad essere travolto dal Big Ben del ‘Word Wide Web’.
Il telefono domestico, con qualche sporadico fratellastro sparso in maniera rada nelle cabine pubbliche o in alcuni bar, ci aveva garantito plasticamente l’esercizio del diritto all’irreperibilità, anche per giornate interne. Se non eri in casa, all’orario giusto, non c’eri e basta: poi altro giro, magari domani, dopo i pasti. Punto di forza di tanti politicamente scorretti, ma decisamente gaudenti, commendatori, e non solo, di banfiana memoria, liberi di destreggiarsi nei doppi slalom con amanti al pepe e cornetti a mezzanotte. Garanzia per frotte di ragazzini in libera uscita, non guinzagliati a distanza dai genitori, ma spinti lungo le ripide discese verso garage sotterranei dalla svincolata incoscienza, a bordo di bicicli non ancora motorizzati, pronti ad lunga carriera di assaggiatori della diversa consistenza delle colate di beton.
Uno scenario dalle tinte pastello dell’analogico, decisamente divergente dall’apocalittico ingorgo di piccoli pac-man frenetici, tracciabili attraverso la funzione di geocalizzazione, che ha garantito il dono dell’ubiquità virtuale a prezzi popolari.
Questa onnipresenza da discount dell’Hi Tec ci ha resi dannatamente connessi e soprattutto prigionieri di un destino inesorabile per cui, come sentenziò il poeta per altra ragione ‘nemmeno dentro al cesso possiedo un mio momento’.
Poco più di mezzo secolo da quando Toto’, sul set del primo Monicelli, battibeccava con la sua governante Carolina, incapace di ricordare il nome del cliente di ‘una partita di meloni e dell’affare del milione’, che dalla cornetta di bachelite aveva chiesto udienza al grossista di frutta. Pochissimi anni (non luce) dal ‘mo guardo si è rientrato’ dell’improvvisata finta segretaria Lella Fabrizi del giovane nipote squattrinato Verdone, ancora ‘Acqua e sapone’, costretto a fingersi padre Spinetti per campare.
Intanto lì nell’angolo l’apparecchio continua a trillare. Stiamo mangiando. Non ci siamo. Provate più tardi.

Nicola Maiello
nimacomunicazione@libero.it

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