IL VIMINALE BOCCIA MARINO

L’arrivo della Commissione d’accesso al Comune di Caserta per verificare la presenza di collegamenti con la criminalità organizzata non è una buona notizia. Ma è la notizia attesa da chi ancora, in una città da anni in declino e male amministrata – nonché spesso coinvolta con i suoi rappresentanti eletti in indagini penali –, crede nella legalità e nel bene comune come valori guida dell’azione politica; da chi ancora pensa che qualcosa possa cambiare in meglio, anche a dispetto delle classifiche annuali, che vedono Caserta sempre agli ultimi posti per servizi erogati ai cittadini, inevitabile e negativo riflesso dell’azione amministrativa.
Che l’attività amministrativa possa essere passata al setaccio alla ricerca di atti e delibere da cui poter ricavare l’ottenimento di trattamenti di favore da parte di imprenditori amici o comunque manovre poco trasparenti e illecite, non è qualcosa che può rendere soddisfatti o orgogliosi, ma serve per mettere – si spera – un punto definitivo su ciò che è stato, e ripartire. E ciò indipendentemente dalla conclusione cui la Commissione perverrà nei mesi di lavoro (tre più tre), vale a dire se suggerirà o non al Ministero dell’Interno lo scioglimento del Comune di Caserta per infiltrazioni camorristiche. Perché un accertamento va necessariamente fatto dopo l’indagine su appalti in cambio di soldi, voti e favori della Procura di Santa Maria Capua Vetere del giugno scorso, che ha coinvolto l’ex vicesindaco Emiliano Casale,  l’ex assessore ai lavori pubblici Massimiliano Marzo, tre dirigenti comunali – gli esperti e importanti Franco Biondi e Giovanni Natale, e Luigi Vitelli –, e il dipendente Francesco Porfidia; senza dimenticare il processo sull’appalto dei rifiuti del 2021 aggiudicato all’azienda di un imprenditore ritenuto dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli vicino al clan dei Casalesi, in cui è imputato al tribunale di Santa Maria Capua Vetere lo stesso sindaco Carlo Marino e altri ex dirigenti comunali (Alfonso Iovino e Peppe D’Auria); o il processo per i lavori del parcheggio interrato di via San Carlo, per la Dda di Napoli finito ad un’azienda ritenuta contigua al clan guidato da Michele Zagaria, in cui è imputato lo stesso Biondi. O il processo conclusosi qualche mese fa con la condanna per voto di scambio politico-mafioso di un altro ex vicesindaco di Caserta, Pasquale Corvino. Ci sono poi le indagini e i processi che hanno coinvolto l’amministrazione comunale di centrodestra, con la condanna dell’ex vicesindaco Enzo Ferraro, e quelle all’ex superdirigente Carmine Sorbo.
Ci sono, dunque, tanti motivi, tutti tremendamente seri, dietro la decisione del Viminale di inviare la Commissione d’Accesso. E per questo va ringraziato il prefetto di Caserta Giuseppe Castaldo, perché è l’unico rappresentante del Governo che ha avuto in questi anni il coraggio di mettere mano al “dossier” Caserta, da anni alimentato dalle continue inchieste sugli amministratori pubblici. È stata, infatti, la Prefettura, dopo l’indagine di giugno, a rompere gli indugi e i tentennamenti e ad inviare al Ministero una relazione con le criticità giudiziarie di assessori e dipendenti, che hanno convinto il ministro Piantedosi a disporre l’invio della Commissione d’Accesso.
Il sindaco Carlo Marino l’ha subito buttata in politica, parlando di atto di “infamia” e ad “orologeria”, perché proveniente da un governo di centrodestra, dunque lontano politicamente dal Pd di cui egli è esponente. È ovvio che le parole del sindaco sono un disperato tentativo di salvare qualcosa, forse anche la sua carriera politica; come pure la nomina di quattro personalità tecniche per la nuova giunta non risolveranno le ataviche criticità di un Comune in cui per anni è stato accantonato il bene pubblico e privilegiato il clientelismo e il favoritismo.
Ma a chi a sta a cuore il bene della città e della comunità dei casertani, questi tentativi di salvare il salvabile non devono impressionare né interessare. È giunta l’ora di voltare pagina con questa politica “degli amici degli amici”.
La Commissione d’Accesso apre infatti, e direi finalmente, una crepa profonda in un sistema, come detto politico-clientelare, usato da sempre dalla politica, sia di centrodestra che di centrosinistra, perché introduce un occhio esterno quanto mai necessario; un sistema che governa da decenni senza dar conto a nessuno, cittadini in primis, visti solo come elettori e non come destinatari dell’azione amministrativa. Un sistema che ha governato per anni nel colpevole silenzio degli enti di controllo politico-istituzionale, come la stessa Prefettura, ovviamente quella precedente al periodo Castaldo.
Per quanto mi riguarda, già nel 2012 denunciai la presenza di esponenti del clan Belforte come dipendenti dell’azienda rifiuti, fui chiamato dai Carabinieri a spiegare il contenuto del mio articolo, e auspicai che già allora qualcosa si smuovesse. Non accadde nulla però, nonostante la presenza invasiva di soggetti legati ad ambienti criminali in un’azienda erogatrice di un servizio pubblico tanto importante fosse un chiaro segnale di pericolo per l’amministrazione e al contempo una “spia” di rapporti ambigui tra Comune e certi ambienti. Spesso gli stessi nomi circolati nelle indagini, si pensi ai Rondinone o ai Della Ventura (famiglie di Caserta ritenute in più di un elemento legate strettamente al clan camorristico Belforte di Marcianise), li si ritrovava proprio nell’azienda dei rifiuti.
Con il numero di indagini cresciuto a dismisura, l’intervento degli ispettori era divenuto improcrastinabile. L’immagine di una città si ripulisce facendo chiarezza, anche a prescindere o contro la volontà del primo cittadino.

Antonio Pisani
antonio.pisani76@gmail.it

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