La crisi globale che stiamo attraversando non è soltanto sanitaria. Sono tutti gli aspetti della vita umana ad essere coinvolti. Economia, politica, cultura, ideologie, relazioni, socialità. Da questo tsunami biologico ne uscirà indenne, ancora una volta, il capitalismo. È accaduto in passato ed accadrà ancora. Il capitalismo non è mai in crisi, anzi, è corretto dire che ha un rapporto simbiotico con le crisi: queste sono connaturate al capitalismo come potrebbe essere la respirazione per l’essere umano. Ogni volta che nella storia le crisi del capitalismo hanno aperto le tenebre della recessione economica, politica e sociale, gli Stati e le società civili giuravano che, una volta fuori dal tunnel, avrebbero cambiato quel “sistema” per non rischiare di ripiombare nel buio. E, puntualmente, superata la crisi, il capitalismo si rafforzava. È successo alla fine dell’Ottocento quando la crisi è culminata nella Prima Guerra Mondiale. È accaduto con il crollo del ’29 che ha lastricato la strada per la venuta dei fascismi e il conseguente scoppio del secondo conflitto mondiale. Ancora, negli anni ’70, con lo choc petrolifero che ha posto le basi per un nuovo modello di capitalismo, meno dipendente dalla produzione di beni e sempre più alimentato dalla finanza speculativa. La bolla è, poi, esplosa nel 2008 evidenziando tutti i limiti e la fragilità della globalizzazione finanziaria. Per far fronte alla crisi si sono adottate misure di austerità che non hanno fatto altro che rafforzare quelle riforme neoliberali che rinsaldano le radici del capitalismo. Con la fine del grande sviluppo delle Tigri Asiatiche e dei Paesi emergenti dell’America Latina, la soluzione è stata quella di integrare la Cina nel mercato globale. Il nuovo colosso del capitalismo mondiale non ha la bandiera a stelle e strisce ma rossa con cinque stelle gialle. Alla fine del decennio che si è appena concluso, il capitalismo industriale si è spostato dentro i confini della Grande Muraglia mentre le restanti economie hanno puntato ancora più forte sulla finanza speculativa, sugli asset immateriali, sulla roulette russa dei mercati aleatori. È, quindi, chiaro che da una crisi del capitalismo si può uscire solo attraverso una recrudescenza del capitalismo stesso che ad ogni cesura lascia più vittime sul campo di quante ne farebbe una terza guerra mondiale. Il divario tra pochissimi super ricchi e miliardi di poveri si allarga ad ogni nuova crisi. Credo che l’errore sia quello di considerare il capitalismo ‘soltanto’ un modello economico, un sistema per coesistere nelle società e far interagire gli Stati tra di loro. Il capitalismo, invece, è una visione totalizzante e totalitaria, una “teoria del tutto” in grado di tenere le redini del pianeta, una matrix per nulla astratta capace di realizzare trasformazioni epocali – come l’Internet of Things – condensandole in un nuovo dominio sull’essere umano. Oggi, nel pieno di una pandemia globale e all’alba di quella che si annuncia come la crisi economica più grave dell’età contemporanea, stiamo rivedendo la nostra posizione. Chi siamo? Come abbiamo vissuto sinora? Abbiamo distrutto una parte vitale degli ecosistemi e ora la Natura si sta ribellando. Ci sta selezionando. Già da adesso promettiamo che, alla fine di tutto questo, saremo ‘umani’ più virtuosi, più rispettosi, più onesti. Alla fine di tutto questo riusciremo a trovare un vaccino e a sconfiggere il Sars-Cov-2 definitivamente. Ma non potremo mai liberarci dal virus del capitalismo che, ben radicato nelle nostre menti, ci accompagnerà per secoli ancora, fino all’estinzione del genere umano. Perché come la fenice che rinasce dalle sue ceneri, il capitalismo risorgerà ogni volta dalle sue crisi. E sarà più potente di prima per ricordarci che, in fondo, siamo solo una specie come tante su questa Terra.
Gaetano Trocciola
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