Restando in tema di stalking (cedo anch’io all’immancabile anglismo, che mi riprometto però di usare per il futuro solo come sinonimo del corrispettivo italico “atti persecutori”), vorrei evidenziare la differenza tra questo reato e quello, presente nel codice penale sin dalla sua originaria formulazione del 1930, previsto dall’art. 660, denominato molestia o disturbo alle persone, e che punisce, in modo assai meno grave rispetto al primo, “chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo”. Qui la condotta più frequente è quella telefonica, di solito consistente in una serie più o meno prolungata di messaggi di contenuto ingiurioso o comunque denigratorio. La petulanza o altro biasimevole motivo indica l’assenza di una valida giustificazione della condotta posta in essere, come nel caso in cui, per esempio, la finalità è solo quella di umiliare o comunque schernire il marito della propria amante, sessualmente giudicato non all’altezza nonostante la più giovane età. Diverso è poi il cosiddetto bene giuridico tutelato dalla norma, che non è la tutela dell’incolumità psichica della persona, e più in generale della persona nel suo insieme, bensì la mera tranquillità del soggetto, peraltro nell’ottica del pericolo per l’ordine pubblico connesso alla potenziale reazione della vittima. Tornando all’esempio di prima, è comprensibile il turbamento del marito “cornificato” in seguito allo sguaiato pavoneggiarsi dell’amante della moglie, un misto evidentemente fastidioso di irritazione e frustrazione, ma non altrettanto credibile appare il preteso determinarsi di un vero e proprio stato di ansia patologica, almeno in termini diretti di causa ed effetto. Altro esempio di condotta meramente molesta che traggo dalla mia decennale esperienza “pretorile” (vi do una brutta notizia: in realtà la figura del pretore non esiste più da oltre vent’anni, sostituita da quella del giudice cosiddetto unico ovvero monocratico, di cui ho parlato in Polis n. 65) è quello del marito che manda a ripetizione, in forma anonima, messaggi di contenuto esplicitamente sessuale all’ignara cognata, probabilmente allo stato ritenuta più “appetibile” della legittima consorte, o del giovanotto che, dopo avere non da molto sconfitto l’acne, si diletta a tormentare la più matura ma ancor avvenente vicina di casa, specialmente nei lunghi periodi di assenza per lavoro del di lei marito. Più in generale, sono ricorrenti i casi di chi si spinga oltre il lecito nel maldestro tentativo di allacciare una relazione sentimental-sessuale con un’altra persona. Pure qui i presupposti della petulanza e del turbamento personale certo vi possono stare, beninteso sempreché la cognata, o comunque il destinatario del pur spinto corteggiamento, non preferisca accondiscendere alle profferte d’amore altrui. Altre volte i messaggi o comunque le condotte moleste s’inseriscono invece in un più banale contrasto familiare su questioni di proprietà, notoriamente quanto di più noioso vi possa essere in ambito giuridico, ragione per cui vi risparmio in questo caso ogni dettaglio.
Antonio Riccio
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