LA PIZZA FRITTA, SORELLASTRA DISCRETA DI SUA MAESTÀ MARGHERITA

La pizza napoletana ha una sorella minore, o per meglio dire una sorellastra, figlia di un’epoca storica travagliata e gravida di dubbi sul futuro.
La ridente Margherita, fiera nel suo nobile ottocentesco abito rosso fuoco, con una preziosa collana di perle bianco avorio al collo ed un foulard di seta verde, si vide affiancata da una consaguinea decisamente più austera. La pizza ‘fritta’ venne alla luce negli anni del Secondo Dopoguerra, generata in un contesto di privazione e stenti. Serviva per sfamare e veniva pagata con una soluzione postdatata ‘a otto giorni’. L’apice della sua affermazione si ebbe in quei mesi dove la priorità della gente comune era rinchiudersi nei ricoveri al riparo dalle bombe e, come in una sorta di matrioska, inserire nello stomaco qualcosa in grado di farla stare in piedi e tornare a vedere la luce all’indomani del passaggio degli uccelli di ferro della ‘malauria’. Il ricordo di questo successo ci viene garantito dall’episodio de ‘L’oro di Napoli’, diretto da Vittorio De Sica, nel quale Giacomo Furia, commerciante specializzato nella vendita di questa eccellenza, è costretto a cercare nelle case dei clienti sparsi per i vicoli del centro storico l’anello perso da Sofia Loren, moglie infedele, che finge di averlo incastonato nell’impasto.
La pizza ‘fritta, si presenta con tono dimesso e discreto avvolta in una tunica informe dai colori chiari della tela, senza orpelli, e racchiude con modestia e surrogata cura materna, due scarti di una ‘figliata indesiderata’.
Trattiene, mettendoli insieme, la ricotta ed i ciccioli. Prole causale della cagliata l’una e del bonariamente blasfemo smembramento del maiale gli altri.
Entrambi si assemblano dopo essere stati creati a seguito di un evento prodigioso, un cambiamento di stato, da liquido a solido, una sorta di riproposizione della virtù del Santo Gennaro, al contrario.
Il siero del latte si tramuta nella composta crema bianca attraverso il riscaldamento ad alte temperature, mentre la compattezza del grasso del ‘fu suino’ è assicurata dalle fiamme che sorreggono enormi pentoloni di rame, prima della spremitura. Il miracolo della fame che si trasforma in sazietà. Un evento straordinario, qualcosa di concreto, come sosteneva Massimo Troisi ‘una cosa che succede’. Il patto tacito di stare uniti, determinato dall’originaria necessità, lenisce anche le caratteristiche singole decisamente votate allo scontro fino ad arrivare a sentire una dolcezza che nella realtà non esiste. Il carattere spigoloso dell’olio si unisce in un sincero e fraterno abbraccio con la seriosa ma protettiva rigidità dei cigoli, assistiti dalla vellutata discrezione della ricotta, che non contrasta ma accompagna con rispetto il gruppo verso bramose labbra senza tempo.
E così ogni giorno ci sarà sempre la signora Sofia, col banco a Materdei, pronta a concedere la Grazia sotto gli occhi solerti del marito Rosario. ‘Ca’ s’ magn ma nun s’ pav…’

Nicola Maiello
nimacomunicazione@libero.it

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