LA SCUOLA CHE FU

È noto che uno degli effetti della quarantena in cui tutti siamo stati relegati, nei mesi appena trascorsi, sia stato, per forza di cose, l’emersione di una sorta di agorà virtuale in cui, quotidianamente, si discuteva delle notizie a più riprese diffuse nel corso di quelle giornate, tutte uguali e rumorosamente silenti per le strade vuote. Uno dei temi più discussi, con accenti prevalentemente critici, è stato, senz’altro, quello della cosiddetta DAD (acronimo di Didattica a distanza), ossia dello svolgimento delle lezioni, nonché di ogni altra incombenza scolastica, da remoto, cioè, in altre parole, dal pc di casa. A tal proposito vi è da dire che due sono le attività che, a differenza di tutte le altre, per una serie di motivi strutturali, non possono prescindere dalla presenza fisica dei soggetti che ne partecipano, in assenza dei quali, difficilmente, possono generare gli effetti cui sono funzionalmente preordinate. La giustizia e la scuola. Il vissuto scolastico è parte preponderante, si sa, di quello collettivo ed, al contempo, di quello individuale di ognuno. Il frequente rinvio, interiore od esplicitato, a quella fase della vita tra l’adolescenza e la cosiddetta maturità (non sempre, tuttavia, rispondente a quella porta d’ingresso sociale rappresentata dal compimento dei diciotto anni) non riguarda solo i ricordi, venati, a volte, da malinconia, degli amori o delle goliardate del tempo. Spesso si ritorna, con la mente, a quei tempi, in riferimento a questo o a quel professore individuato come fondamentale, a volte anche decisivo, tassello umano per la propria formazione, non solo in termini di nozioni da interiorizzare. Ricordi e contributi di formazione certo inimmaginabili in assenza di contatto in carne ed ossa. Già, perché la scuola, a seguito del forte impulso sperimentatore e innovativo degli anni ’60 e ’70, i cui effetti si protrassero sino al decennio ’80, era ormai diventata luogo non soltanto di trasmissione del sapere, ma di elaborazione autonoma dello stesso e, più in generale, riflesso diretto del sentire sociale, della comunità insomma. C’erano a Caserta due Licei, quello classico, il “Giannone” e quello scientifico, il “Diaz”. Il primo, dalla elevatissima cifra scientifica, era l’espressione della medio-alta borghesia, tendenzialmente conservatrice e poco incline a rilevanti scossoni sociali, pur caratterizzanti quel periodo. Il secondo, sotto diversi profili, ha invece rappresentato, tra la fine degli anni ’60 e gli ‘80, forse non solo una scuola superiore, ma anche un luogo di elaborazione e di confronto sociale, oltre che culturale. Non a caso, fu testimone delle tensioni sociali di fine anni ’70, quelle degli anni di piombo, per la presenza di alcuni appartenenti al movimento delle Brigate Rosse. Il tasso culturale di gran parte di quegli insegnanti, andati poi in pensione all’inizio dei ’90, era spesso elevatissimo e prova ne fu, non solo la vasta attività di diffusione culturale da molti operata anche al di fuori delle mura scolastiche, spesso attraverso l’associazionismo laico ed in parte cattolico, ma anche le diverse pubblicazioni scientifiche che da quella generazione di docenti derivò. Alcuni addirittura entrarono in ambiti universitari. Ma il dato caratterizzante era, al di fuori di ogni retorica, il modo in cui quei docenti, concretamente, rendevano vivida l’attività dell’insegnamento, attraverso un approccio umano e, in senso ampio, sociale con le affollate classi di studenti. In altre parole, la formazione dell’adolescente-ragazzo-uomo non si limitava al completamento del programma specifico, ma andava oltre spesso, attraverso una autentica dialettica anche su temi altri, sulle personali tendenze e tensioni politiche, sulle idee socialiste o quelle liberiste. Tutto questo è andato progressivamente sfumando negli ultimi decenni. La scuola assomiglia sempre più ad un’azienda e, come quest’ultima, ha in qualche modo, anch’essa aderito alla modalità dello smart working, che in tal caso si esprime attraverso la didattica da remoto e le video lezioni. Forse saremo smentiti, forse questo sarà il futuro. Ad oggi tuttavia, come per il processo, non si riesce ad immaginare una scuola diversa da quella svolta “in presenza”, come si suol dire. Con il compagno di banco e la tensione nell’incrociare lo sguardo della prof.

Vittorio Pisanti
vittopisanti@gmail.com

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