La bellezza di un ritratto non dipende solo dalla abilità dell’artista, dalla mano ferma o dai colori. La bellezza del ritratto, la sua espressività, dipende, in larga parte, dal soggetto. È il soggetto che conferisce al ritratto una profondità particolare. Così com’è il soggetto a suggerire al pittore la luce della scena, o l’intensità della pennellata: ora decisa, ora, invece, lieve come zampette di farfalla.
Inizia così questa rubrica di ritratti, per la cui raccolta si manifesta sin d’adesso gratitudine verso i tanti protagonisti inconsapevoli sui quali l’occhio cadrà.
Iniziamo a passeggiare assieme curiosi e prestiamo attenzione.
Un tempo, non tanto tempo fa, le abitazioni, oltre che per la ristrettezza degli ambienti, si facevano apprezzare per un’altra comodità: la totale assenza dei servizi igienici, spesso collocati in uno spazio esterno della casa. E quando arrivava il momento – sì, proprio quello! – erano dolori. Le latrine erano fredde in inverno e puzzolenti in estate e quindi l’atto – sì, proprio quello! – doveva essere rapido.
Più tardi sono arrivati i bagni. Da allora non più un fuggi fuggi e corse ad ostacoli, ma un lento ciabattare fino alla meta desiderata.
L’uomo, da seduto, ha iniziato a riflettere; e poi, ancora, a pensare; e poi, ancora, ad affinare le proprie abitudini.
C’è chi si siede come un soldato in perenne lotta con il proprio intestino, asserragliato come una fortezza inespugnabile. C’è chi, nello sbrogliare la matassa del proprio budello attorcigliato, la imbroglia ancor di più.
C’è ancora chi, munito di una volontà grande come una montagna, partorisce c*c*tine piccole come topolini. C’è chi sta all’erta come una sentinella del canale intestinale manco fosse il Canale di Suez.
C’è il lesto, che lestamente scappa quando gli scappa; e chi, viceversa, si trattiene fino allo spasimo solo per lasciarsi andare ad un sospiro di sollievo.
C’è infine l’anarchico. Costui si ribella alle regole non scritte del galateo “defecatorio”. Non fa centro ma imbratta. Il suo è un “baffo” birichino alla maniera di Duchamp, una spernacchiata dadaista a tutto e a tutti; e alla fine, affinché la sua opera resti immortale, ci fa sapere, con una firma indelebile, di esserci stato. Chapeau!!!
Il suo gesto si eleva ad arte, anzi diventa essa stessa “arte”, racchiusa in 90 scatole di 30 grammi.
Forse che l’arte sia solo merda o che la merda sia la vera arte?
Tuttavia l’atto dell’anarchico cd. “defecatorio” non sempre è un atto creativo; spesso, al contrario, è una rivendicazione rabbiosa del suo esserci, un voler uscire dall’anonimato.
Guardatelo all’opera nel suo viver quotidiano. Si muove tra l’altrui indifferenza, destinato a ingoiare i bocconi amari di una “vita agra”. Passano gli anni e gli pare di rimanere fermo, giù, mentre gli altri salgono veloci, su. La fila alle poste, la maleducazione altrui, una buona dose di veleno giornaliero, un capo esigente, una paga infima, quel tale amico che ce l’ha fatta, fanno di costui un bombarolo speciale. Col passar del tempo egli diventa bilioso e la sua bile si riversa quotidianamente flaccida.
Pensa alla giornata che lo attende e alla vita che sarà e… Toc, Toc. Occupato!