LEGGERE È NOIOSO E NON SERVE A NIENTE

Non credo possa servire una legge ad aumentare il numero dei lettori di libri in Italia. E un po’ mi auspico pure che non la si faccia. È vero, i dati – stando all’ultima intervista Istat del 27 dicembre 2017 – sono impietosi: la percentuale di chi nell’anno solare non ha letto neanche un libro è salita ulteriormente, il che vuol dire che ci sono in Italia circa trenta milioni di persone che, nei dodici mesi precedenti, non hanno sfogliato neanche per caso un romanzo o una raccolta di racconti o un libro di poesie.

I dati sono impietosi e raccontano di un Paese poco alfabetizzato, nel quale non esiste una “cultura della cultura”, una propensione letteraria, nel quale mancano “efficaci politiche scolastiche di educazione alla lettura”, però è pur vero che non si tratta di una novità, ma piuttosto di un trend che va avanti da anni.

Per questo lamentarsi, come fanno scrittori e lettori paventando un’apocalisse che non avverrà mai, non aiuta, non cambia le cose, al contrario sembra peggiorare la situazione.

La verità è che leggere richiede uno sforzo – intellettuale ma pure fisico (sforza la vista) – e oggi, che per ricavare un piacere non abbiamo bisogno di sforzarci tanto, sforzarsi per qualcosa è diventato proprio da stupidi. Ogni notizia ci arriva riassunta nei pochi e necessari caratteri a capirla e a passare oltre; siamo bombardati da mille immagini che non ci restano in memoria; scattiamo migliaia di fotografie senza prenderci neanche il minimo tempo necessario a studiare una posa, una posizione; la mettiamo su internet credendoci di suscitare attenzione negli altri senza aver fatto nulla per meritarcela.

Personalmente il fatto che in Italia i lettori diminuiscano a me fa anche piacere. E per spiegare questa mia opinione ho bisogno di fare un piccolo preambolo. Ho sempre creduto che esistano due grandi categorie di persone. Ci sono i conformisti, ossia coloro che, per sentirsi bene e a posto con il mondo, hanno bisogno necessariamente di allinearsi con ciò che fa il prossimo: vestirsi con gli abiti che vanno più di moda, avere gli oggetti che hanno tutti, concedersi le distrazioni che la maggior parte delle persone si concede, in un parola: omologarsi. E poi ci sono gli alternativi, che sono conformisti pure loro, ma di un conformismo al negativo: vestono con gli abiti che non vanno più di moda, rifiutano con sdegno gli oggetti che tutti comprano e posseggono, cercano distrazioni diverse, provano insomma a differenziarsi, anche se in questa differenzazione sono simili a tanti altri.

Ebbene, io mi sono sempre sentito di far parte di questa seconda categoria, o meglio di una sua sottocategoria: non vesto in maniera originale, questo no, però sono sempre stato un bastiancontrario, uno di quelli che, se una cosa la fanno tutti, proprio per questo non gli piace. Con il tempo mi sono reso conto dell’immaturità di questo mio atteggiamento e anche della sua scomodità, di come tenda a isolarmi: ti chiudi in un mondo che credi parecchio originale, fino a quando non ne incontri un altro come te, ma proprio uguale a te, che ti dimostra che proprio originale non lo sei mai stato.

Con i libri è sempre stato lo stesso. Lo scrittore cult per me è quello che conoscono in due, e appena diventa davvero cult perché  a conoscerlo diventano in tre, a quel punto smette di interessarmi.

Sogno così che la pratica di leggere libri diventi una pratica per pochi eletti, per un nucleo ristretto di individui, un rito propiziatorio necessario ad accedere a una verità alta, celata alla moltitudine.

Un po’ come la cerchia degli uomini-libro di Fahrenheit 451, il capolavoro di Ray Bradbury, una piccola comunità di rinnegati che vive ai margini della città e che si fa carico di conservare il patrimonio letterario dell’umanità.

Stefano Crupi
stefanocrupi@hotmail.com

 

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