“La notte è delle puttane, dei pokeristi, degli ubriachi, degli insonni e dei portieri d’albergo. La notte è di chi non sa morire”. Sapete chi lo ha detto? Nemmeno noi. Pare che questi versi campeggiassero su un muro di Madrid. Erano gli anni ottanta, la dittatura lasciava posto alla libertà. Nasceva la Movida, movimento intellettuale, letterario, pittorico che, infine, impose un modo di vivere e intendere la società. Oggi possiamo ben dire che una città europea non può dirsi tale se non ha una vivacità che s’ispiri alla movida e, se c’è una cosa che distingue Caserta da tutte le altre piccole province del Sud (e gran parte del Nord), è proprio questa. Oltre c’è solo la noia, e le Peroni sotto al portone di casa o altre deviazioni che è meglio lasciar perdere. Ora, tutto ciò dovrebbe essere considerato un bene pubblico, un interesse collettivo, una risorsa. Ovviamente, in quanto tale, la nostra amministrazione locale non sa che farsene. Del resto siamo tre gatti e riusciamo a vivere di antagonismi, agguati, facendo di tutt’erba un fascio, riuscendo finanche a identificare questo prezioso bene con la maleducazione endemica senza far distinzione alcuna. Non è un caso che, ai margini del lockdown, appena i pochi reclusi hanno ripreso a frequentare un po’ le vie del “paesone”, è tornata in auge la lotta alla presunta movida selvaggia, condotta a colpi di scatti nascosti dai balconi, o dagli angoli delle vie, associazioni di bofonchianti intolleranti un po’ in là con gli anni e giornalini locali compiacenti. Certo, la nostra “Movida”, in quanto bene pubblico abbandonato all’incuria da chi dovrebbe, invece, saperne cogliere l’opportunità che rappresenta, non è quella di Madrid. Non lo è, nel bene e nel male. Tuttavia lo sport di cogliere ogni occasione per gettare discredito sull’unico colpo di coda economico che la nostra terra ancora conosce, non solo ha fatto il suo tempo, ma dovrebbe essere stigmatizzato da chi ci governa. Noi c’eravamo, abbiamo visto quel che è successo nei giorni della riapertura. Non ne abbiamo letto on-line da blog e social. Noi sappiamo che tutto ciò che hanno raccontato è stato montato ad arte, per infliggere il primo dei fendenti che, statene certi, si susseguiranno da qui ai prossimi mesi. Nell’orgia sacrificale dei diritti sull’altare del Covid, volevi tu forse che non si provasse a cogliere l’occasione per levare di mezzo la “movida”? Allora pronti, via… Su segnalazione delle brigate della noia e del silenzio, appena si è concesso il take-away, drappelli da guerriglia si sono appostati a immortalare, per segnalare alle autorità, ogni momento in cui, come è normale, anzi, come è auspicabile che sia, si è creata un po’ di fila fuori ai pochi bar che hanno avuto il coraggio e l’onere di reagire alla crisi devastante. Anzi, siccome in passato qualcosa è andato storto, a causa della totale assenza di cura del bene pubblico ut supra, è giusto che l’indotto muoia. Sparisca. Kaputt. Non importa se chi ci lavora, giovani che hanno investito vita e speranze scegliendo di non fuggire via, non riescono nemmeno a pagare gli affitti. Non importa se la città ritorna il mortorio degli anni novanta. Non importa se non circola più un soldo… Basta che possiamo riposare e rientrare senza folla a casa la sera. Bisogna creare il casus “Navigli de’ noantri”, l’iper-realtà aumentata, mediante scatti di prospettiva studiata, per raccontare il romanzo fantasioso di quanto sia incivile una città dove una ventina di persone, non di più, ben distanziate e protette da mascherine, in un contesto a bassissimo contagio ormai da tempo, e che comunque ha conosciuto al massimo una trentina di casi, starebbero minando la vita di tutti (sebbene non si sia violata alcuna regola, come attestato dalle pattuglie passate a controllare, in tre momenti diversi, su chiamata anonima). Insomma, quello che abbiamo appreso, il giorno dopo, tra giornali e social, è stato un vero e proprio attentato. Un piano ordito nella speranza che si attivi una task force in grado di mortificare il settore e proiettarci nel tanto agognato lockdown permanente che forse qualcuno s’era prefigurato (e pregustato). Ma qui c’è gente, purtroppo per loro, che cerca di non morire sotto i colpi del terrorismo psicologico, della caccia al disertore, della delazione neo-stalinista indiscriminata e incommentabile. Sarebbe l’ora, anzi, di creare un’associazione in grado di rompere il monologo bigotto e politically correct cui assistiamo inermi. Sarebbe ora che la cosa pubblica si prendesse cura del fenomeno, piuttosto che additarlo, e che coadiuvassero gli esercenti nell’addomesticare quanto più è possibile il selvaggio, senza pretendere da loro una funzione etica e sostitutiva dell’educazione in cui sono talvolta carenti i singoli avventori, invece di soffiare sul fallimento totale e sull’oscurantismo delle strade e la vacuità delle piazze. Il momento di intraprendere iniziative e, magari, con l’aiuto dell’istituzione, in leale cooperazione con i gestori, contribuire alla sicurezza e al rispetto di tutti.
Già, perché, in questi mesi, diciamocelo, abbiamo visto tanta di quella forza dell’ordine, in giro, da strabuzzare gli occhi. Roba da domandarsi: amici, ma dove cazzo eravate? Per poi ritrarsi e sparire nuovamente, in poco tempo, come effimere creature mitologiche, nelle loro spelonche di scartoffie.
Dunque, lo affermiamo con forza: qui si rema per il medioevo. Noi vogliamo il rinascimento. Noi non sappiamo morire. Fatevene una ragione.
Collettivo Anonimo
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