Galileo considerava la lettura il nostro unico mezzo per avere poteri sovrumani.
Per Kafka, un libro era “l’ascia per il mare ghiacciato dentro di noi”; per Anaïs Nin, l’allarme per svegliarci dal sonno del quasi-vivere; per Gwendolyn Brooks “carne e medicina e fiamma e volo e fiore”.
Fin dall’invenzione della stampa, i libri hanno nutrito l’irrefrenabile fame di verità e significato dell’essere umano, e alcuni degli esemplari più celebrati della nostra specie hanno esaltato la lettura come pilastro della nostra stessa umanità. Tra loro c’è Rebecca Solnit, una delle scrittrici più liriche e perspicaci del nostro tempo.
Nel suo splendido saggio di memorie su come i libri le hanno salvato la vita, Solnit ha osservato che “l’oggetto che chiamiamo libro non è il libro vero e proprio, ma il suo potenziale, come uno spartito musicale o un seme”.
Nell’infanzia, quando la vita stessa è puro potenziale, un libro diventa potenziale al quadrato. Solnit ne parla in modo squisito nel suo contributo A Velocity of Being: Letters to a Young Reader, un lavoro d’amore durato otto anni, che comprende centoventuno lettere illustrate ai bambini sul perché leggiamo e su come i libri ci trasformano in alcuni degli esseri umani più stimolanti del nostro mondo: artisti, scrittori, scienziati, filosofi, imprenditori, musicisti e avventurieri il cui carattere è stato plasmato da una vita di lettura.
Solnit scrive:
«Cari lettori, quasi tutti i libri hanno la stessa architettura (copertina, dorso, pagine), ma si aprono su mondi che vanno ben oltre carta e inchiostro, e all’interno assumono ogni forma e potere. Alcuni libri sono kit di strumenti che prendi per aggiustare le cose, dalle più pratiche alle più misteriose, dalla tua casa al tuo cuore, o per creare cose, dalle torte alle navi. Alcuni libri sono ali. Alcuni sono cavalli che scappano con te. Alcuni sono feste a cui sei invitato, piene di amici che sono lì anche quando non hai amici. In alcuni libri incontri una persona straordinaria; in altri un intero gruppo o persino una cultura. Alcuni libri sono medicine, amare ma chiarificatrici. Alcuni libri sono enigmi, labirinti, grovigli, giungle. Alcuni libri sono lunghi viaggi, e alla fine non sei la stessa persona che eri all’inizio. Alcuni sono luci portatili e puoi illuminarci quasi tutto.
I libri della mia infanzia erano mattoni, non da lanciare ma da costruire. Ho ammucchiato i libri intorno a me per proteggermi e mi sono ritirata nei loro bastioni, costruendo una torre in cui sono fuggita dalle mie infelici circostanze. Lì ho vissuto per molti anni, innamorata dei libri, rifugiandomi nei libri, imparando dai libri una strana versione obsoleta e ricca di dati di cosa significhi essere umani. I libri mi hanno dato rifugio. O ci ho costruito un rifugio, con questi libri che erano sia mattoni che incantesimi magici, incantesimi protettivi che ho fatto girare intorno a me stessa. Possono essere porte, navi e fortezze per chiunque li ami.
E sono cresciuta scrivendo libri, come speravo, quindi so che ognuno di essi è un dono che uno scrittore ha fatto a degli sconosciuti, un dono che ho fatto alcune volte e ricevuto tantissime volte, ogni giorno da quando avevo sei anni».
Silvia Graziosi
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