MORPHINE

Mi sono reso conto che si spendono più parole per i morti che per i vivi. Ricordare è un verbo che andrebbe reinterpretato, non bisogna per forza morire per essere ricordati. Potremmo inserire questo punto di vista in uno studio sociale; perché in genere accade solo e solo questo. Quindi forse il mondo è dei morti. Forse i vivi non lo sanno raccontare, oppure racconta talmente bene la morte che la vita non ha senso. Quindi vivere che senso ha? Raccontare qualcosa per i vivi cosa significa? Perché si fa musica, perché si cerca di comunicare, perché si scrive? Chiaramente, come scritto, questa cosa io non la so, in realtà non so niente. Vorrei affrontare questo nuovo anno proprio col senso di inconsapevolezza e di ignoranza. Odio queste due parole, ma a volte esprimi il meglio di te stesso quando odi l’inconsapevolezza e l’ignoranza. Pensa un po’, hai fatto una turné mondiale e poi, quando non era proprio un momento artisticamente brillante della tua vita, ti hanno detto che dovevi suonare a Palestrina. Tipo sagra di paese. Tu sali sul palco, non te la saresti mai aspettata quest’accoglienza in Italia. Trovi un pubblico fantastico e gli vuoi dedicare una canzone.
“Taxi, taxi, hotel, hotel. Ho whisky e sigarette”. Tratto da Yes (Yes/ Rykodisc).
E poi muori. Schiatti di infarto. Forse un’invocazione, perché forse avresti voluto qualcuno che ti portasse a casa? Casa non c’è. All’alba degli anni Novanta, Mark Sandman si conquista una certa fama nel circuito underground di Boston. Non termina il college, si guadagna da vivere come tassista o lavorando sui pescherecci, ma porta avanti un esperimento ardito: suonare il rock in una band priva dello strumento-principe, la chitarra. Parliamo di Morphine e non è la droga che dilaga in quegli anni. Parliamo di musica.
Ispirato da particolari strumenti africani a una sola corda, Sandman arriva alla conclusione che quell’unica corda racchiude in sé tutte le note. Decide quindi di provare a suonare con un basso “fretless” (senza “tasti”) a due sole corde, lasciando al loro posto solo il Mi e il La del registro più basso dello strumento, da pizzicare o da tormentare con lo “slide”. È il preludio alla nascita dei Morphine, che avviene a Boston nel 1992.
In formazione a tre e senza chitarra, sassofono baritono e batteria, i Morphine sono una delle band più pazzesche di tutta la storia del rock. Il sound che sgorga è capace di sprofondare in gravi abissali per poi librarsi in fraseggi quasi incorporei, per quanto sempre netti e consapevoli. Eppure è canzone che ha poco o nulla a che fare col rock di quel periodo. Le composizioni sono stupefacenti: apparentemente semplici e lineari, in realtà descrivono decenni di musica passata per reinventare una forma nuova. Poi la musica se non è forma cos’è? “Quello che pensi e quello che hai fatto mi chiama. Perché tu hai vissuto e le tue scelte sono sexy.” Tratto da “You look like rain” (Good/Rykodisc).
Gli arrangiamenti minimali oscillano fra tinte retro e accenni d’avanguardia, fra un revival di suoni appartenenti ad un’altra epoca. Miles Davis, il blues del Delta, il rock’n’roll anni ’50. Un’ esasperata attitudine alla dilatazione degli spazi che risolve vuoti. Il vuoto è la musica? Ritmo dilatato, comatoso, ma allo stesso tempo “incinto”, pregno di una carica propulsiva che sfascia tutto. Basso e batteria sono incollati. La loro discografia è ragguardevole: ‘92- Good, ’93-Cure for pain, ’95-Yes, ’97-Like swimming, ’97-B-sides and Otherwise, ’02-The night. Sapete che non mi piace citare le raccolte e quello che i discografici, sovente, fanno per prendere qualche caffè in più. Che vita. Sparata a mille. Tutti quelli che suonano vorrebbero questo: musica e zero parole. Forse Sandman mi avrebbe preso per il culo. Ci sono e ci saranno sempre quelli che non suonano e che non muoiono sui palchi, che non se ne fregano degli strumenti, dei ritmi, delle sensazioni e di quello che significa dedicare la propria vita ad una canzone. Sono le persone che ascoltano le canzoni e basta. Per questo ogni secondo ed ogni giorno esistono i condannati; per far si che ci sia qualcuno che possa piangere quelli che invece non ci sono più solo quando si riduce il volume a zero. Superficialità? Ritmo del nulla? Silenzio? La musica in tutto ciò non ha mai chiesto niente. Ricordiamoli da vivi.

Riccardo Ceres
riccardoceres@gmail.com

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