“Poi si vede…”. Questa potrebbe essere la frase, sinteticamente, in grado di definire Caserta e chi vi abita. La città delle eterne attese, ormai divenute placide rassegnazioni allo stagnante, lento, incedere della routine quotidiana. Non c’era certo bisogno dell’annuale classifica de “Il Sole 24 Ore” per certificare il livello della qualità della vita. Basta uscire, magari a piedi, un pomeriggio o una sera per rendersene conto e “respirare” la malinconia di un luogo che non è sopravvissuto a se stesso per la totale assenza di visione e di senso comune di chi l’ha governata negli ultimi trent’anni, all’insegna di miope individualismo e bulimica bramosia di potere.
Ogni fazione politica ed amministrativa, al di là del colore politico e della “bonomia” di alcuni, si è trovata a fare i conti con i disastri ereditati da quella immediatamente precedente, sicché negli anni si è determinato una sorta di “moltiplicatore” di danni per chi, tra un dissesto e l’altro, sarebbe andato a governare dopo. Il frutto di tutto ciò, della mancanza di progettualità e di visione, del prevalere dei piccoli o grandi interessi di bottega – amplificati dalla venuta nel capoluogo di interessi economici esterni e geograficamente vicini – è ciò che ora viene certificato sulle colonne del quotidiano di Confindustria. Ma il disastro è ascrivibile a molti fattori, uno fra tutti quello di aver sempre, o quasi sempre, avuto i soggetti sbagliati nei posti sbagliati. Il riferimento è alla circostanza, certo forse trita e ritrita, di aver fatto governare, ad esempio, gli ambiti culturali o quelli di pianificazione territoriale, il più delle volte da personalità “aliene” a quegli ambiti, per dirla eufemisticamente ed in punta di fioretto. O ancora il fatto, più volte riportato, di non aver avuto negli ultimi anni alcun peso in quei centri decisionali ove venivano assunte decisioni funzionali allo sviluppo, vedi allocazione delle facoltà universitarie o delle risorse per opere pubbliche, soprattutto quelle legate al mondo della sanità. Ma sono, queste, riflessioni ed analisi che lasciamo ai cosiddetti esperti, anche tra i cronisti di più importanti testate, potendo, chi scrive, limitarsi solo ad un’osservazione ab externo, in qualità di privato cittadino, legittimato al più a manifestare, al pari di altri, un neanche troppo celato amaro malcontento per quanto è sotto gli occhi di tutti. Quel che tuttavia si può esprimere, al di fuori di una fugace analisi politico economica, è quanto appare sul piano sociale a chi, semplicemente, vive quel che resta della città –comunità. Apatia ed indifferenza si sentono addosso, campeggiano idealmente sui muri e le facciate dei condominii medio borghesi, vera cifra identificativa del luogo. E sì perché qui si vive atomizzati, come monadi, come api nell’alveare, chiusi nelle comodità, a volte ormai bolse e datate, del proprio “appartamento” – l’immobile – vera divinità locale. Le strade sono vuote anche in pieno pomeriggio, ma non c’entrano le facili scuse dei centri commerciali vicini che prosciugano il centro, quelli ci sono ovunque. Manca il “momento” sociale, non solo per le carenze degli amministratori locali, ma per scelta degli stessi cittadini, sempre più ritiratisi a dimensioni, come detto, meramente private. Qualcosa “pur” si muove più che altro per la grinta e la voglia di fare di alcuni nuovi attori della classe dirigente locale, per lo più nati tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70, giovani ma abbastanza noti imprenditori e valorosi operatori nel campo della comunicazione turistica, nonché alcuni capitani coraggiosi nell’ambito artistico culturale. Ma è ancora poco. In compenso però, la pizza è buona, anzi abbiamo anche il campione nazionale in materia. Beviamoci su. Per il resto, poi si vede…
Vittorio Pisanti
vittopisanti@gmail.com