QUANDO (E SE) TUTTO TORNERÀ COME PRIMA

È una perversa curiosità quella che ogni giorno mi fa guardare alle statistiche del contagio che provengono dal mondo: chi altro, oltre agli Usa, supererà l’Italia nel numero dei contagiati? Cosa accadrà alla Gran Bretagna che con superbia ottusità ha per lungo tempo sottovalutato il problema? Basta un secondo di riflessione perché mi renda conto che quei numeri sono vittime, persone decedute o immischiate in una situazione che non augurerei al mio peggior nemico. La mia è una curiosità perversa alla quale però ogni giorno dedico una parte consistente del mio tempo: dalla sicurezza della mia torre d’avorio osservo le umane disgrazie confortandomi al fatto che questo isolamento estremo, al quale ho destinato me e la mia famiglia, di sicuro potrà precludermele. La mia nave dalle sue acque sicure osserva le altre scontrarsi, affondare, procedere tra i mulinelli, come un testimone che registra gli eventi nella sua memoria, per poi un giorno poterli raccontare a chi vorrà ascoltarlo. Tutti dicono che niente più tornerà come prima, che, anche quando l’allarme sarà finito, ce ne staremo per sempre ad un metro di distanza l’uno dall’altro, che guarderemo con sospetto gli assembramenti, le file, e che diffideremo di chiunque manifesterà qualche sintomo respiratorio influenzale guardandolo come un appestato. Di sicuro ci sarà pure chi non riuscirà più ad uscire di casa perché assuefatto a questo spazio sì angusto ma pure comodo e caldo. Di sicuro per molti non basterà il richiamo della socialità a tirarli fuori dalla tana, e questo forse perché, in verità, quel richiamo non ha mai funzionato, per molti la socialità non è stato mai un interesse primario. Per quel che mi riguarda, vedere il mio lavoro di insegnante di scuola privata quasi azzerarsi nel giro di un paio di settimane ha rappresentato, paradossalmente, una boccata di ossigeno rivitalizzante dopo un protratto periodo di apnea. Ho ripreso i libri che stavano su uno scaffale da tempo a impolverarsi, ho recuperato i primi tre capitoli di un romanzo che avevo iniziato a scrivere, e riscoperto il piacere della creazione letteraria, di questa progettualità che è capace di assorbire le mie ore, di catturare ogni volta totalmente la mia attenzione. Senza contare chiaramente i momenti che ho avuto la fortuna di condividere con la mia famiglia. Il mio lavoro, per quanto fonte per me di innumerevoli soddisfazioni personali, mi lasciava la sera inerme e senza forze e, quando non lo faceva, gli impegni che da esso ne sono sempre derivati occupavano prepotentemente la mia mente, mi distraevano dalla vita che mi scorreva rapidissima sotto al naso. Adesso, in questo momento, mi sento stranamente più libero. Il mio corpo è rinchiuso tra quattro mura, con uno stretto margine di movimento, ma la mia mente è di nuovo libera di vagare spensierata, come quando ero ragazzo e avevo il tempo di leggere trenta libri al mese, di ricercarmi la filmografia dimenticata dei registi che amo, di ascoltare la musica di gruppi dai nomi improbabili e improponibili. Sì, è vero, a volte il pensiero del futuro mi riporta di nuovo nelle mie spoglie di pater familias, con tutte le responsabilità che ciò comporta, le spicciole questioni della spesa da fare e delle bollette da pagare, ma poi mi dico – ora che ho più tempo per rifletterci – che ho conosciuto nella mia vita altri rimescolamenti di priorità e che questo ne è un altro, forse uno dei più importanti, un’altra tappa in avanti verso una nuova maturità o una nuova consapevolezza. Tornerà tutto come prima? Probabilmente sì, pian piano il tran tran riconquisterà il terreno perso, ma una parte di me spera vivamente che ciò non accada, o forse, più verosimilmente, spera di riuscire a trattenere ben chiare nella mente, nell’anima, nel cuore, queste perplessità, questa epifania di pensieri che mi sta facendo riscoprire la mia vera natura che era stata per troppo tempo accantonata.

 

Stefano Crupi
stefanocrupi@hotmail.com

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