UMANI (IN)DIFFERENTI

Indifferenza. Una parola potente, evocativa, a tratti grottesca. La sopravvissuta Liliana Segre non l’ha scelta a caso per esser posta all’ingresso del Binario 21 di Milano, luogo di partenza degli ebrei italiani verso la morte nei campi di sterminio. “Indifferenza” si rivolge, in quest’ottica, a tutti quegli italiani che non hanno detto niente, neanche quand’era possibile farlo. Si rivolge anche ad un’intera umanità che ha preferito non scavare troppo perché, in fondo, era ben cosciente di cosa avrebbe trovato. Ma “Indifferenza” è un’eco che si perpetua fino a noi, che ci tocca, ci molesta, ci tortura come il fuoco dell’inferno faceva col Farinata dantesco.

La scritta posta all’ingresso del Binario 21 si rifà ad un mondo scomparso, di cui non resta che una sagoma delineata sui libri di storia, ma il suo significato e la sua efficacia sono tutt’altro che una sagoma. Sono piuttosto un’entità che noi conosciamo bene; conviviamo, infatti, con la parola “Indifferenza” più di quanto crediamo, senza sapere di essere indifferenti alla moltitudine di situazioni che il nostro pianeta vive.
Il Medio Oriente sta conoscendo una rivoluzione senza precedenti, cominciata nell’ormai lontano 2011 e che in molti casi ha dato i suoi frutti. Con le primavere arabe si è avuta una svolta democratica contro regimi oligarchici e il più delle volte repressivi. Certo, ciò ha condotto a battaglie sanguinose e all’insurrezione di falangi estremiste avverse alla vita, ma, in virtù di cambiamenti, ha condotto anche ad una presa di posizione da parte di esseri umani circa la conquista dei propri diritti. In questa visione si colloca una meravigliosa Nasrin Sotoudeh, che in questi giorni riempie le prime pagine dei quotidiani per via dell’atroce pena che le è stata inferta, 33 anni di carcere e 148 frustate, per aver tutelato il diritto di togliersi l’hijab, ossia il velo islamico. In Russia è ormai in atto da anni una repressione quasi totale dei diritti delle persone omosessuali, senza che questo desti particolare interesse, anche se si stima che alcune vite siano state spezzate. In Nord Corea, si ipotizza (non vi sono conferme ufficiali, solo testimonianze n.d.r.), sono stati edificati campi di concentramento per la rieducazione degli oppositori del regime di Kim Jong-un. Questi non sono che gli esempi più facilmente individuabili e che, tuttavia, non godono di risonanza mediatica, o almeno non quanto dovrebbero. Quindi, nonostante disponiamo di un mondo compatto, grazie al web, che consente l’accesso globalizzato alla conoscenza, decidiamo di non sapere. Forse è un meccanismo naturale, dovuto alla consapevolezza che l’informazione è lì e sarà fruibile per sempre, dunque si potrà prenderne visione in seguito; sta di fatto che l’Indifferenza, in questa accezione, non è più una condizione, ma una colpa.

È vero anche che i social media hanno preso una piega che forse non avrebbero dovuto prendere, in particolare riferimento alla moltitudine di emozioni che sono in grado di suscitare nel medesimo istante. Ognuno ormai è collegato al mondo grazie a Facebook, e scorrendo la Home può incorrere in ogni genere di notizia, dalle foto di un bambino mutilato tra le macerie siriane a quelle di un gattino accoccolato ai piedi di un’amorevole signora inglese. Più sotto ancora, scherzi alla madre e filmati di un adolescente picchiato dai bulli. Tutto nel giro di quattro secondi netti. Par quasi uno di quei film in cui al protagonista viene fatto il lavaggio del cervello, facendo scorrere davanti ai suoi occhi una serie di immagini in rapidissima successione.
Questo genere di commistione tra sensazioni così contrastanti tra loro può generare Indifferenza, un abituarsi all’andamento delle cose e non esserne più interessati.

Google Trends, uno strumento di analisi riguardo agli argomenti di maggiore interesse in un dato periodo, rivela che nei paesi occidentali (i più floridi) le ricerche di maggior tendenza sono legate al gossip e al calcio; qualche picco viene raggiunto anche in cronaca internazionale nel caso di eventi eclatanti, come la strage di musulmani in Nuova Zelanda del 14 marzo scorso. Le ricerche legate ai diritti umani, però, sono lentamente in declino.

Primo Levi diceva che “chi vive in un contesto di mostruosità, per non soccombere, è costretto a diventare a sua volta un mostro”. Noi questo non lo sappiamo, ma quel che è certo, è che non sfruttiamo appieno la conoscenza globalizzata al fine di opporci all’oppressione dei popoli in virtù della libertà e della democrazia. Questo farebbe di noi degli umani differenti e non indifferenti.

Nicola Di Nardo
nicoladinardo92@gmail.com

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