UN DOVEROSO TRIBUTO

Per te è facile da lì, al buio. Io, invece, sono esposto alla luce. Vieni qui sul palcoscenico e ne parliamo insieme, da persone civili.” Dalla galleria del Teatro Comunale di Caserta si era avvertito un persistente chiacchiericcio e lui fu costretto ad interrompere la musica. Uno spettatore, certo della oscurità protettiva, lo aveva apostrofato subito dopo con parole inadeguate. Reagì fermamente ma con evidente inclinazione al dialogo. Fausto Mesolella era un uomo forte di valori consolidati e umiltà, nonostante fama, riconosciute doti in musica e composizione, cinema, scrittura poetica. Aveva abitato nel cuore della città, in quel vicolo Francesco della Ratta (della Rath) che rimanda alla Caserta medioevale dei colli Tifatini, a ridosso dello splendido portale in pietra della seicentesca chiesetta dedicata al patrono d’Italia, in totale abbandono nella indifferenza di molti cittadini e istituzioni. Lì, nonostante tutto, è ancora un concentrato di quotidiana identità, arte, memoria, offuscata meraviglia e non sarà un caso che lui sia provenuto da quel luogo. Inutile che io scriva di quanto abbia prodotto, informazioni alla portata di tutti. Mi piace soffermarmi invece sul ricordo dei suoi occhi dolci e su questa immagine che è sintesi del suo essere, del tormento fisico e interiore nello sprigionare note dalla chitarra “insanquinata” di fatica musicale, della caparbietà, disciplina nel mestiere, dovere civico nel donare gioia all’anima. Per la comunità casertana, al di là della evidente componente artistica, resta il suo ricordo per essere stato exemplum. La cinica burocrazia prevede temporalità precise (non meno di dieci anni) per intitolare una strada o una piazza a chi è venuto a mancare, ma io so che la politica non ha confini e, volendo, alcune barriere possono essere superate con la semplice volontà. Qui si tratta di accelerare un processo catartico per un doveroso, permanente tributo che si rivelerebbe soprattutto educativo per i giovani, potendone stimolare quelle stesse doti. Di contro dedicargli una istituzione musicale, un contenitore d’arte o, almeno, una targa che descriva il senso umano dell’artista e, magari,  in quel vicolo stretto, illuminato di nuova luce, dove nella silenziosa profondità senza uscita ci si possa soffermare meglio alla riflessione, fuori dal clamore, lontano dalle inutili distrazioni di parole vaghe, e interagendo. Proprio come aveva suggerito lui, durante quella splendida serata di arte, all’esuberante giovane ancora ignaro della bellezza.

Raffaele Cutillo
cutillo@ofca.net

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