Tutte le donne con cui sono stato non sapevano cucinare ed avevano zero propensione per i lavori domestici, quindi diciamo che mi è toccato sempre provvedere a queste necessità. Mi piace cucinare e non mi pesa fare la spesa ma una delle cose che più odio è quella di fare la lavatrice. Ricordo che era una domenica di luglio, una di quelle che quando ti affacci alla finestra pensi che tutto quel silenzio non faccia bene alla vita ed intanto passa un cane randagio e piscia sul cerchione della macchina della tua donna, chiaramente parcheggiata male sotto casa, e tu non puoi farci niente. Lei era sul divano guardando uno dei suoi soliti film coreani ed io cercavo di non fare chiasso per evitare che lei mi costringesse a farle compagnia, intanto preparavo tutto l’occorrente per una deliziosa cenetta domenicale. – Guarda che io stasera non ci sono. Sono a cena con Carmela, glielo avevo promesso, perdonami amore ma avevo proprio dimenticato di dirtelo. Guardai tutte le cose che bollivano in pentola, spensi i fornelli aprii il frigo e presi una birra ghiacciata rintanandomi nel bagno che è sempre il posto più fresco della casa in estate. Seduto sul water mi accorsi che c’era una pila di panni enorme che doveva essere lavata, la maggior parte erano i suoi, io me la cavo anche con una maglietta ed un jeans per un mese standoci attento. Finii la birra ed uscii dal bagno. – Tesoro, almeno prima della cena con Carmela fai una lavatrice e stendila, sai che odio avere a che fare con le mollette. – Ma amore, io sto vedendo questo film interessantissimo, falla tu questa volta, fammi questo regalo domenicale. Non risposi, mi girai, andai verso il frigo e tirai fuori un’altra birra. Ritornai in bagno e cominciai a tirar su i vestiti, rigiravo pantaloni e camice, controllando che nelle tasche non ci fosse nulla di importante e dimenticato. Ad un certo punto da un suo pantalone tirai fuori un biglietto accartocciato. C’era scritto: “Ci vediamo domenica alle 20 al solito posto”. Pensai ad un biglietto di Carmela, ma rigirando un jeans all’interno ce n’era un altro, questo diceva: “Finalmente soli, tu ed io per poterci guardare negli occhi come sappiamo solo noi”. Presi una grossa sorsata di birra e cominciai velocemente a cercare in tutti i pantaloni. Ne trovai altri due: “Ho in mente una bella cenetta afrodisiaca”, l’altro invece: “Che serata che ci aspetta, ti amo”. Rimasi lì con gli occhi sbarrati ed il sudore mi scorreva sulla tempia sinistra più freddo della birra. Presi tutti i vestiti e li buttai nel cestello della lavatrice ma prima con una bella forbice li tagliuzzai tutti per bene, d’altronde si dice comunemente fare il bucato, giusto? Al posto del detersivo decisi che un bel litro di candeggina avrebbe fatto sicuramente meglio del sapone. Programma a novanta gradi e start. Presi un’altra birra dal frigo, andai in camera da letto e le preparai la mise per la sera, presi il più bel vestito che lei avesse, intimo di seta e pizzi ed un bel paio di décolleté con tacco dodici. Tutto preparato sul letto, mancava solo che lei ci si infilasse dentro come la serpe che era, strisciando. Sul vestito misi in sequenza i biglietti che avevo trovato nei suoi pantaloni. Scrissi anche io un biglietto, e lo misi dentro ad un mio boxer piegato a mo’ di busta da lettera che appoggiai vicino al suo intimo in modo che fosse ben visibile. Mi vestii, feci una valigia e lei intanto, impegnata col suo film, non sapeva che io stavo girando il mio primo film e che sicuramente sarei stato candidato all’Oscar. Presi l’ultima birra dal frigo, la svuotai in gola in un solo sorso e poi richiusi la porta di casa alle mie spalle senza salutare e senza voltarmi. Il caldo d’estate mi avvolse insieme ad un senso di ritrovata e beata solitudine. Il cane randagio che stazionava sempre sotto casa mi guardò una volta uscito dal portone e forse pensò che sarebbe potuta cominciare una nuova era per lui, c’era un altro cane per strada e si sarebbe potuto mettere su un bel branco. Si avvicinò e mi fiutò, poi immobile mi guardò come se avesse voluto dirmi qualcosa. Gli strizzai l’occhio e mi allontanai dirigendomi verso la piazza. Mentre camminavo passai di fianco all’auto della serpe; mi girai e guardai il cane che mi stava ancora osservando, poggiai la valigia per terra, mi posizionai con le gambe ben divaricate, aprii la zip dei pantaloni e inondai di piscio caldo tutta la fiancata della macchina. Naturalmente lasciai la ruota del mio amico a quattro zampe intonsa, il gabinetto è una cosa personale. Mi svuotai, in tutti i sensi. Cosa c’era scritto sul biglietto? “Ti lascio queste mutande, mettici tu qualcosa dentro così almeno potrai attaccarti al cazzo”. Camminavo leggero e pensavo che vendicarsi è un po’ come ricominciare una nuova vita.
Riccardo Ceres
riccardoceres@gmail.com