Vittorio De Seta è, si sa, il padre del cinema documentario in Italia. Amato da Scorsese; citato per sua stessa ammissione da Gianfranco Rosi in Fuocoammare, ove emerge la potente cifra stilistica del regista calabrese, tra gli esponenti più importanti del neorealismo. A tal proposito, sgretolando l’ordine cronologico della sua produzione, pionieristica e quasi totalmente autofinanziata, menzioneremo Lettere dal Sahara del 2006. Il lungometraggio, forte di una visione asciutta ed al tempo stesso sospesa di una realtà al limite, in bilico tra il dolore e il riscatto, ante litteram documentava la portata dei flussi migratori. E anteponeva la visione rarefatta del senegalese Assane, sull’appartenenza culturale come estensione del sé, all’osservazione analitica del massiccio esodo di popoli in fuga verso l’Italia. In seguito, infatti, Assane si sarebbe riconciliato con le proprie origini per poi decidere di tornare indietro, a casa sua. Ma De Seta ha rappresentato specialmente la vita del proletariato meridionale degli anni Cinquanta, debuttando nel 1961 con il lungometraggio Banditi ad Orgosolo, tra gli attori, pastori sardi non professionisti, Miglior Opera Prima alla 22° mostra internazionale di Venezia. Nel 1973 esce, invece, lo sceneggiato televisivo in quattro puntate Diario di un maestro, prodotto dalla RAI, incentrato sulla difficile esperienza didattica di un maestro, unico attore professionista, nella complessa realtà di una borgata romana.
Negli anni Ottanta ha deciso di rifugiarsi tra gli uliveti di Sellia Marina, in provincia di Catanzaro, lontano dal jet set in un ideale isolamento, in comunione con la vita agreste.
– Pur essendo stato per lungo tempo un po’ dimenticato dalla sua terra, soprattutto grazie alla collaborazione del sindaco Francesco Mauro, sta prendendo forma l’idea di rimettere al centro della cultura e del patrimonio artistico calabrese la sua figura –, mi dice la nipote Vera Dragone, attrice di cinema, fiction e teatro. L’artista tutela, inoltre, un prezioso materiale d’archivio da ritenersi un’importantissima risorsa per gli studenti di cinema, gli addetti ai lavori, per gli autoctoni e i semplici neofiti, materiale che costituirà l’essenza di quella fondazione a tutt’oggi ancora assente sul territorio, ma che presto troverà una concretizzazione. – Ha inventato un genere nel mescolare la bellezza delle immagini alle tradizioni popolari, con attori presi in prevalenza dalla strada, lui che negli anni Cinquanta ha ripreso le feste calabresi e le solfatare siciliane. Pur conducendo una vita ritirata, era molto amato nella realtà locale: pertanto attendiamo fiduciosi nuovi sviluppi in merito –. Quella che pareva essere la profezia dell’autobiografico e dissacrante Un uomo a metà del 1966 si dipana, finalmente, attraverso quanto gli tributerà l’amata terra, cristallizzata nel suo poetico realismo.
Cristina Lombardo
mcri80@hotmail.it