Quando cominciai a scrivere canzoni un amico mi disse – Ricordati sempre di dire la verità.
Perché se dici bugie nelle tue canzoni chi le ascolta se ne accorge.
A volte gli amici ti sanno regalare grandi verità che inconsapevolmente fai tue. Si parla di morale, si parla di etica sia nel rispetto di sé stessi, sia nel rispetto di chi legge ed ascolta e non nell’accezione di “fare la morale”. Un sentimento di onestà che dovrebbe spingere chi scrive a raccontare di sé all’interno del mondo, del tempo, della vita. Spesso quello che si scrive è condiviso da altri ed è così che le canzoni, a volte, riescono a riassumere il pensiero di un’epoca e a dare speranza; canzoni che non sono la mercificazione della musica, diventata ormai un prodotto da banco usa e getta grazie a case discografiche, TV, pseudo produttori e musicisti improvvisati del sabato sera. Canzoni che si distendono tra le epoche, che non hanno paura di sporcarsi le mani, che non muoiono, amate perché amano, ascoltate perché ascoltano i più intimi sussurri dell’animo umano. E allora tu che ascolti “…cambia la penna e cambia l’inchiostro, cambia il modo in cui parli e pensi. Cambia i tubi e cambia le gomme dell’auto, cambia le cose che il tuo cuore desidera. Cambiati il trucco, cambia i capelli. Cambia i modi di questo mondo che cambia”. Piccolo estratto da “Changing World” di Woody Guthrie. Nasce il 14 luglio 1912 nello stato dell’Oklahoma e la sua infanzia è segnata da un susseguirsi di disgrazie che portano alla morte di tutti i suoi familiari. Woody, ormai rimasto solo, parte e inizia a vagabondare per gli Stati Uniti; riesce a sopravvivere facendo qualsiasi genere di lavoro e finisce per fare il gigolò. Impara a suonare l’armonica a bocca, la chitarra e il mandolino. Per un breve periodo si unisce ad una country band in Texas perfezionando il suo personalissimo modo di suonare la chitarra; inizia a scrivere canzoni che parlano della vita della gente, dei lavoratori, delle loro lotte, degli scioperi e della fatica quotidiana per la sopravvivenza. Lui stesso dice – Scrivo le cose che vedo, le cose che ho visto, le cose che spero di vedere, da qualche parte, in un posto lontano. Arriva a New York alla fine degli anni trenta e incontra un gruppo di intellettuali che stanno riscoprendo la musica popolare. Fra loro ci sono Pete Seeger, Alan Lomax e altri, che trovano in lui il rappresentante di quella genuina arte popolare che cercavano. Scrive moltissime canzoni e diventa ben presto il punto di riferimento della musica folk statunitense. Proprio Lomax, suo produttore, suggerisce a Guthrie di scrivere la propria autobiografia. Ne risulta “Bound for Glory”, primo romanzo del cantautore, pubblicato per la prima volta nel 1943 e che poi, acclamato dalla critica negli anni ’70, diviene film icona di quell’America che nessuno ha mai voluto raccontare. Nel dopoguerra Woody ricomincia a scrivere e ad incidere, ma una brutta malattia lo costringe in ospedale per quasi undici anni. Morirà all’età di cinquantacinque anni lasciando un patrimonio immenso di canzoni, pensieri e poesie che non riuscirà a veder pubblicato. Per loro stessa ammissione, Bob Dylan, Bruce Springsteen, Joan Baez e tantissimi altri folk singer americani non sarebbero diventati quel che sono senza le parole ed il coraggio della realtà di Woody Guthrie; un uomo che ha scritto e cantato canzoni brutte, sporche e cattive che per la prima volta parlano al cuore di degrado e di vita vera. Musica che diviene necessità di raccontare cose che le persone immaginano ma che non gradiscono vedere: morti assassinati, notti insonni in un vagone di un treno diretto chissà dove, speranze infrante, speranze per la speranza, vecchi ubriachi, gente comune che non riesce ad arrivare a fine mese, condannati, vecchie puttane, politici e poliziotti corrotti, verità vera. C’era un tempo in cui le cose avevano un contenuto ed un significato. C’era un tempo in cui bastavano parole ed una chitarra. C’era un tempo in cui i tatuaggi non si vedevano perché stampati sull’anima con l’inchiostro del cuore. Un tempo in cui le persone stavano ad ascoltare l’eco del passato che come un grande vecchio raccontava storie da non dimenticare intorno ad un fuoco. Un fuoco che non c’è più. Fuoco che però ognuno potrebbe riaccendere in qualsiasi momento, basterebbe non cedere al freddo e ricominciare a raccontare bruciando dentro.
Riccardo Ceres
riccardoceres@gmail.com